Corriere di Verona

L’ex pentito inguaia il commercial­ista

Padova, indagine della Finanza. Indagato il legnaghese Silvestrin: chiarirò tutto

- Polese

La terza vita di Giuseppe La Rosa, palermitan­o di 56 annie residente a Megliadino San Vitale nella Bassa padovana, è fatta di bolle e fatture. Dopo gli agguati mafiosi e dopo aver fatto il pentito, l’ultimo business, che ieri lo ha portato in carcere, è quello della frode fiscale. Al posto dei capiclan con i quali si accompagna­va, adesso ci sono i colletti bianchi e qualche prestanome. Coinvolto nell’indagine anche un commercial­ista di Legnago, Nicola Silvestrin­i.

La terza vita di Giuseppe La Rosa, nato 56 anni fa a San Cipirello in provincia di Palermo e residente a Megliadino San Vitale nella Bassa padovana, è fatta di bolle e fatture. Dopo gli agguati mafiosi e dopo aver fatto il pentito, l’ultimo business, che ieri lo ha portato in carcere, è quello della frode fiscale. Al posto dei capiclan con i quali si accompagna­va negli anni 90, adesso ci sono i colletti bianchi e qualche prestanome.

Quello svelato dall’indagine della procura della Repubblica di Rovigo è un altro capitolo dell’ormai ricorrente storia, soprattutt­o negli ultimi anni, delle infiltrazi­oni criminali in Veneto. Gli accertamen­ti del Nucleo di polizia economicof­inanziaria del comando provincial­e di Padova, coordinati dal procurator­e capo Carmelo Ruberto e dalla pm Maria Giulia Rizzo, hanno portato alla luce una frode all’Iva da 10 milioni di euro, con sette persone raggiunte da misura cautelare, altre 14 indagate per frode fiscale, ventuno società coinvolte. Secondo gli investigat­ori si tratta di un’associazio­ne a delinquere operativa almeno dal 2015 tra Padova, Verona, Treviso e Venezia, ma con ramificazi­oni anche in Emilia Romagna, Lombardia e Sicilia.

A capo c’era proprio La Rosa, un tempo sodale di Balduccio di Maggio, il boss della cosca di San Giuseppe Jato che ebbe un ruolo nell’arresto di Toto Riina. Il primo, ex capo di un gruppo di fuoco che agiva per conto del secondo, ha fatto il pentito per un certo periodo di tempo e ha vissuto in regime di protezione tra Padova e Verona. Ha rigato dritto per un po’, poi hanno ricomincia­to ad emergere alcuni dubbi sul suo operato: i

vorticosi giri societari di aziende a lui riconducib­ili gli hanno fatto guadagnare in anni più recenti due interrogaz­ioni parlamenta­ri firmate dall’ex deputato Alessandro Naccarato e ben tre interditti­ve antimafia emesse dalle prefetture di Padova e Verona. Ed è stato proprio partendo da quelle misure che la Guardia di Finanza di Padova ha iniziato ad indagare sul business di La Rosa, che dal Veronese si era trasferito nel frattempo con la figlia a Megliadino San Vitale. Nonostante dichiarass­e redditi irrisori, da un certo punto in poi l’ex boss ha cominciato ad avere un tenore di vita sproporzio­nato rispetto alle sue possibilit­à. Il certosino lavoro della Guardia di Finanza guidata dal colonnello Fabio Dametto e dal comandante del Nucleo Vittorio Palmese ha consentito di ricostruir­e tutte le società che il siciliano muoveva come un «puparo», aiutato dalla figlia Rossana, finita agli domiciliar­i, e con l’aiuto, tra gli altri, del commercial­ista veronese Nicola Silvestrin­i (indagato sottoposto all’obbligo di firma) ex candidato al consiglio comunale di Legnago con una civica e ora membro del circolo locale di Fratelli d’Italia. Stando alle indagini, La Rosa si era aperto un varco nel business del commercio di pellet, che faceva arrivare dall’est Europa tramite società-cartiere intestate a prestanome, in un vorticoso giro di acquisti, fatture e società fallite. In questo modo sarebbero stati sottratti al fisco, appunto, 10 milioni. Il «giochino» sarebbe iniziato cinque anni fa, quando l’Iva sul pellet è passata dal 10% al 22%.

Tra i destinatar­i di misura di obbligo di firma anche Danilo e Roberto Sponchiado, padre e figlio residenti tra Marca (Roncade) e Veneziano (San Stino di Livenza), che per nascondere i soldi alla Finanza sono arrivati a programmar­e una finta perdita al casinò. E poi Andrea Cesaro di Borgo Veneto e Christian Pattis di Bolzano, tutti con un ruolo all’interno dell’associazio­ne. Dal canto suo, il commercial­ista veronese Silvestrin­i in serata ha precisato: «Conosco La Rosa ma ho saputo solo recentemen­te del suo passato. Mi sono occupato di tre società sulle ventuno indagate. Le accuse sono senza fondamento, a breve chiarirò con il gip».

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tranquillo Nicola Silvestrin­i ina una foto postata ieri su Facebook
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Padre e figlia Giuseppe e Rossana La Rosa, il primo finito in carcere, la seconda agli arresti domiciliar­i Secondo la guardia di finanza erano al centro di una organizzaz­ione dedita alla frode fiscale
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