«Nella vita c’è posto per tutti»
Il calcio e la Virtus, dove è arrivato quando aveva 8 anni fino a diventarne presidente e allenatore, con mamma Rina segretaria. La tesi di laurea sugli zingari, l’impegno sociale e l’accoglienza dei profughi
Al villaggio gallico assediato dalle legioni imperiali di Roma, il grande capo Abraracourcix aveva un solo timore: che il cielo gli cadesse un giorno sulla testa. Al Gavagnin, Gigi Fresco non teme nemmeno quello. La sua Virtus è un territorio libero dove il calcio profuma ancora di antichi sapori fatti in casa, come le tagliatelle al ragù della signora Rina, la mamma che gli fa da segretaria. Vulcanico e carismatico, Gigi per tutti, giocatori compresi, dal 1982 allenatore e presidente, un caso unico nei salotti del calcio professionistico che fa notizia pure all’estero. Lui batte i record di longevità, si coccola la sua creatura tra i professionisti in serie C e sogna in grande: «Il mio motto è “Nessuna carovana ha mai raggiunto il suo miraggio, ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane”. Il prossimo anno festeggiamo il centenario, prima o poi mi piacerebbe arrivare in serie B» confessa. Quest’anno dopo una vittoria gli abbiamo visto gli occhi lucidi: «Ora andiamo in trasferta a Padova, Vicenza e Trieste, bellissimo. Ma io ricordo bene gli anni in cui si partiva la mattina per andare a giocare tra le nebbie di Villa Bartolomea. Non dobbiamo mai dimenticare chi siamo, sarebbe la nostra fine». Gigi Fresco il comandante visionario, l’Erasmo da Borgo Venezia che al campo ci va a piedi canticchiando Samarcanda di Roberto Vecchioni. L’avversario più ostico? La dieta con cui fa a cazzotti, ma almeno ci prova e in tempi di forzata sosta pare pure funzionare.
Classe 1962, Gigi nasce a Rovereto dove il padre carabiniere, che Rina l’ha conosciuta a Badia Calavena, presta servizio. L’approdo a Borgo Venezia nel 1966, le scuole in via Betteloni e un bel diploma di Ragioneria al Pasoli; ragazzo di quartiere, fa combriccola al Bar Giardino in Piazza in Libero Vinco, jeans e capelli lunghi gli danno un’aria fricchettona, roba da chitarre e “volemose bene” intorno al fuoco a ragionare sul mondo che verrà: «Ascoltavo i cantautori e la musica country, su tutti John Denver e Simon & Garfunkel». Nutre un amore viscerale per il calcio: «Me lo ha trasmesso mio cugino interista; d’altronde gli anni da bambino li ho trascorsi nel mito della Grande Inter. Alla Virtus entrai che avevo 8 anni, ho giocato da stopper fino a 18». Allenatore dei pulcini nel 1976, consigliere nel 1979, responsabile giovanile nel 1980: l’apice dell’ascesa due anni dopo quando gli affidano la prima squadra e alle elezioni lo eleggono pure presidente». Il doppio ruolo non gli pesa: «Se va male, esonero il direttore sportivo…» sorride. Il corso di allenatore a Coverciano con l’amico Roby Baggio: «Guidava lui con la musica di Bruce Springsteen»; laurea in Pedagogia nel 1987, lo studio non lo ha mai mollato: «Tesi sull’antropologia degli zingari: li abbiamo aiutati quando nessuno li voleva; a darci una manella no veniva Giorgio Bertani che poi si fermava con noi a cena a casa di mia madre. Giorgio è morto con la mia tesi tra le mani». Alla Virtus l’impegno sociale è da sempre un tasto forte: «Come dice Vasco Rossi, “Sto sempre dalla parte di chi ha avuto una brutta giornata”. Abbiamo assistito i tossicodipendenti, giocato partite nelle carceri, dato accoglienza ai profughi in arrivo dall’Albania e dalla guerra in Bosnia: cinque anni fa la prefettura ci ha chiesto di seguire i rifugiati che volevano fare sport: Sheikh Sibi è arrivato dal Gambia, oggi è uno dei nostri tre portieri della prima squadra in serie C».
Gli sarebbe piaciuto insegnare, «Ma sarebbe stato incompatibile con il mio impegno Virtus» spiega; così a scuola lavora alla scrivania delle medie a Lavagno, dove è direttore amministrativo: «Il primo impiego a Sanguinetto, oltre trent’anni fa; lavorare nel mondo della scuola mi piace molto, è una cosa che sento un po’ mia».
Sveglia la mattina presto, la colazione con mamma Rina, poi la giornata scorre tra Lavagno e il Gavagnin. Il giovedì sera è un rito: «Con staff e giocatori stiamo a cena insieme al Ranch Rocce Rosse, una tradizione iniziata quarant’anni fa quando ci ritrovavamo nel garage di Zamberlan, allora nostro portiere, e mia mamma e le altre signore facevano il risotto. È un modo di allenarsi a stare in gruppo, come i viaggi che facciamo dal 1988». Due mandati in circoscrizione tra il 1998 e il 2007, l’esperienza politica se l’è messa alle spalle, ma non ha smesso di sognare un mondo diverso: «Dare dignità agli ultimi, ma perché mai te la devi prendere con chi è più debole di te? Nella vita c’è posto per tutti». Lo diceva anche Abraracourcix.