Il nuovo album dei Thing Mote «Robokiller»
Esce il nuovo album della band veronese Thing Mote, un appello contro i pericoli della tecnologia. «Siamo punk e grunge, parliamo di quando le cose erano reali»
Suonano assieme dal 2006, all’attivo 4 Ep, e hanno appena pubblicato «Robokiller», il primo Long Playing. I veronesi Thing Mote centrano il segno con un disco densissimo che al rock unisce una riflessione su tecnologia e umanità.
«Robokiller» si può considerare un concept album?
«Non abbiamo mai definito “Robokiller” un concept album né tantomeno abbiamo mai pensato di scriverlo. Alla fine però è vero le canzoni sono legate da un unico filo conduttore. Il rischio di concepire l’essere umano come una macchina, la supremazia delle tecnica che emenda le decisioni sul nostro futuro».
L’avete definito una sorta di «Black mirror» musicale, che cosa significa?
«In ogni canzone cerchiamo di fornire uno spunto di riflessione, anche per noi stessi, per quanto riguarda il rapporto che lega l’essere umano alla tecnologia. Siamo l’ultima generazione che ha vissuto in un mondo dove la pervasività della tecnologia digitale era assente. Sentiamo questa piccola responsabilità nel ricordare di quando “le cose erano reali”».
Noise, alternative e post rock, grunge, il vostro sound è un insieme complesso.
«Tutti e quattro veniamo da radici differenti, quindi le nostre influenze spaziano dal metal al cantautorato italiano, dal punk all’elettronica, dal post-rock al grunge. Le canzoni nascono da dentro di noi, durante le interminabili jam session in sala prove. Come diciamo spesso, è stato il genere a scegliere noi».
Come si traduce in suono questa riflessione sulla progressiva perdita di umanità di cui raccontano i testi?
«L’album è l’urlo di un interrogativo. Quale miglior genere se non il rock per poter affrontare tutto questo? Il rock permette una vastissima libertà di espressione di emozioni e sentimenti. Nell’album si respira rabbia, polemica,
ansia, nostalgia, claustrofobia, interrogazione. Testi e musica sono andati quindi a braccetto, per poter esprimere al meglio dal punto di vista sonoro la sensazione che volevamo far trasparire dal testo».
«Robokiller», che dà il titolo all’album, parla, appunto di robot assassini… è un’ipotesi così fantascientifica?
«Non propriamente così remota. Secondo il Dipartimento della Difesa americano, entro il 2050 gli eserciti saranno formati quasi esclusivamente da robot killer capaci di selezionare e colpire obiettivi senza l’intervento umano, senza che nessuno prema un pulsante. La canzone quindi simula un avvento di questi robot killer che si ribellano agli esseri umani e tentano di conquistare il mondo».
«Awake» è una suite divisa in quattro parti, di che cosa parla?
«Parla dell’assuefazione, della dipendenza che ha la tecnologia sulla nostra mente. Social media, applicazioni, mail, notifiche. La nostra vita reale, la nostra umanità, viene annullata in cambio di una realizzazione virtual-egocentrica del proprio io».
Nei
testi citate Edgar Allan Poe come T.S. Eliot e Philip K Dick, quanto è importante leggere per un musicista?
«Cerchiamo di essere aperti alle riflessioni che provengono dai campi più disparati, si tratti di letteratura, cinema o filosofia. Spesso dopo le prove ci fermiamo a parlare consigliandoci a vicenda libri e film o anche discutendo di economia e di politica».