Ora è ufficiale: la Scaligera rinuncia alla seria A
«Penso sia molto più gratificante guadagnarsi la promozione sul parquet. E se un domani la Scaligera ci riuscisse troverebbe molte più adesioni da parte degli imprenditori. Qui e ora il momento non era favorevole». Pivot gialloblù fra 1993 e ’1999, tra i simboli della Scaligera che vinceva Supercoppa, Korac e si spingeva fino alle semifinali-scudetto, Sandro Boni è uno di quei volti cari all’album di famiglia che, ieri, hanno osservato da fuori la fine del sogno serie A. Il comunicato con cui la Scaligera ha rinunciato alla proposta di salire al piano di sopra, è uscito intorno all’ora di pranzo. Alla base l’impossibilità di trovare un budget che desse garanzie di salvezza, un «monte» stimato tra i 4 e 4,5 milioni. Tempi ristretti e condizione economica derivante dalla pandemia hanno complicato lo scenario, il succo della nota del club. Club che, nella stessa nota, definisce il «no» alla A come «una scelta oculata e in linea con il panorama economico attuale». E ribadisce l’idea di «allestire un roster competitivo con l’obiettivo della promozione sul campo, sicuri di convogliare un crescente entusiasmo di tutta la città, anche a livello imprenditoriale». La finestra, dunque, si richiude. Era un’occasione storica? Sì, perché Verona non gioca in A dal 2002 e, sul parquet, dal ritorno in A2 del 2010 non ha mai scollinato il secondo turno dei playoff. «Verona merita la A ma non era il momento giusto», riflette Boni. Sempre dal piano di sotto, allora, si ricomincia. Le promozioni saranno due. Il quadro gialloblù? C’è l’allenatore, Diana. C’è la conferma di ampia parte dal roster più Caroti: mancano la guardia Usa e un altro lungo. E Boni si dice convinto che il «no» non avrà contraccolpi sulla squadra: «Non credo assolutamente. E non penso sia una delusione così forte. E la mia idea, sul perché Verona non sia ancora riuscita a salire in A, è che o metti insieme una squadra fuori categoria o, a promozioni ristrette, sarà sempre complicato».