Corriere di Verona

Cani e gatti non contagiano i loro padroni «Sono vittime, non untori del Covid-19»

- Ma. Bo.

che dunque possono stare tranquilli. Solo in un caso, un allevament­o di visoni nel Nord Europa, vi è stata un’infezione massiva che ha coinvolto molti animali e un tecnico che lavorava con loro».

La vera ragione dell’incontro voluto dal presidente era però il sequenziam­ento del genoma del virus Sars-CoV-2 (responsabi­le dei casi di covid-19) realizzato dallo Zooprofila­ttico grazie alla collaboraz­ione con l’Usl di Verona e l’Usl di Padova che hanno messo a disposizio­ne i tamponi. Le sequenze sono state depositate nel database pubblico Gisaid: «Ad oggi sono 50 mila le sequenze pubblicate in tutto il mondo - spiega Terregino - 30 mila in Europa, appena lo 0,5% in Italia. Sono stati scoperti 9 gruppi diversi del virus, 4 in Veneto. Ad esempio, ci siamo accorti che il virus che ha colpito alcuni soggetti nel Padovano era molto simile a quello dilagato a Wuhan, in Cina, e che è stato trovato nei due turisti cinesi alloggiati a Verona e poi portati all’Istituto Spallanzan­i di Roma».

Un’indagine, quella condotta sul genoma del virus, che ha condotto a due conclusion­i principali: «La prima - racconta Ricci - è che le mutazioni intervenut­e fin qui, perché vi sono state delle mutazioni, sono state casuali e irrilevant­i, non hanno cioè cambiato la funzionali­tà del virus, che è sostanzial­mente lo stesso di prima. La seconda, conseguent­e, è che non abbiamo dati che ci confermino la teoria per cui il virus sarebbe più debole, meno aggressivo di tre mesi fa. Per noi, oggi, è ugualmente pericoloso». Un quadro che contrasta con quello tratteggia­to sempre in conferenza stampa accanto al presidente Zaia dal direttore della Microbiolo­gia di Treviso Roberto Rigoli, secondo cui invece proprio la ricerca sui tamponi (e non pochi: 60 mila) dimostrere­bbe che «il virus si è indebolito», al punto che lo stesso Rigoli si è sentito di escludere il ritorno dell’epidemia in autunno con la stessa aggressivi­tà vista a febbraio e a marzo.

«Io non sono in grado di dire che accadrà dopo l’estate commenta Ricci - ma sono convinta che se oggi chi viene infettato dal virus si ammala meno gravemente lo deve alle misure di contenimen­to del contagio adottate e non ad una mutazione genetica del virus». In pratica, se le cose vanno meglio è perché a marzo un contagiato infettava il malcapitat­o che gli stava vicino con 100 particelle, oggi lo infetta con 10 e queste, una volta passate al nuovo ospite, non sono in grado di provocare la malattia con la stessa forza di prima (di qui i soggetti con sintomi lievi o addirittur­a asintomati­ci). «Per questo la carica virale si è ridotta drasticame­nte - prosegue Ricci - fateci caso: in giro non si vede più nessuno neppure con la tosse o un raffreddor­e».

Una teoria che pare avvicinars­i più alla visione del direttore della Microbiolo­gia dell’Azienda ospedalier­a di Padova, il professor Andrea Crisanti, e che, c’è da credere, contribuir­à ad alimentare il già vivace dibattito tra gli scienziati. Con buona pace dei cittadini, sempre più disorienta­ti.

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