Galimberti: «La rinascita parte dalla scuola»
Umberto Galimberti ride. Lo fa, seppure l’intervista irrompa nel bel mezzo della giornata disperdendo i pensieri come nuvole, sebbene l’uomo sia uscito dalla storia e i giovani fatichino a trovare uno scopo per andare avanti. Il filosofo, sociologo e psicanalista sarà protagonista, mercoledì 1 luglio alle ore 10, di una matinée organizzata da Cesaro&Associati presso l’Enoteca della Valpolicella a Fumane (Verona). La lezione aperta al pubblico rientra nel ciclo di incontri «Accademia» che per il 2020 tratterà il tema della «Rinascita». Per partecipare o per assistere via Zoom, scrivere a cultura@cesaroeassociati.it.
Siamo in un momento di rinascita?
«No, ma non dipende dal coronavirus. I cardini su cui oggi si fonda la società sono due: uno di natura economica, dove il denaro è il generatore simbolico di tutti i valori, e l’altro è la struttura oppressiva in cui è finita la gente».
Vede un conflitto sociale in atto?
«Marx denunciava il fatto che il profitto si realizzasse attraverso lo sfruttamento della classe operaia. Quindi concepiva l’alienazione come un conflitto tra due volontà. Per dirla con le parole di Hegel, mi scusi se cito un filosofo, c’era un conflitto tra servo e signore. Oggi sia servi che signori sono sottomessi a una regola molto più rigorosa della loro volontà, ovvero la razionalità tecnica: raggiungere il massimo col minimo sforzo. Tutti sono misurati non in base alle qualità umane ma unicamente in base alle prestazioni, che a loro volta sono regolate da efficienza e produttività».
La razionalità tecnica governa il mondo?
«Sì e questo segna un passaggio radicale mai visto prima nella storia, in cui il conflitto non è più tra due volontà. L’uomo è ridotto a prestazione: per vivere deve identificarsi con le regole della razionalità tecnica se no perde il posto di lavoro. Ma gli uomini sono anche irrazionali, come irrazionali sono l’immaginazione, la fantasia, il dolore, l’amore».
Perché si scusa quando cita un filosofo?
«Quando parlano i filosofi è come se fosse un ornamento del discorso. Invece Spengler, Anders, Heidegger, Iaspers e Severino avevano già predetto la condizione odierna. Per cambiare il mondo bisogna conoscerlo. E per conoscerlo bisogna andare a scuola e istruirsi».