Corriere di Verona

La famiglia scarica il paziente zero

Il fratello del manager: «In Serbia non è andato per lavoro». Il figlio: «Mio padre ha sbagliato»

- Andrea Priante

La rabbia è tanta fra Sossano e Orgiano, i luoghi del manager della Laserjet ora in rianimazio­ne per Covid dopo aver rifiutato il ricovero. Lo scarica il fratello «In Serbia non ci è andato per lavoro, non sono andato a trovarlo in ospedale». E lo scarica pure il figlio che in azienda lavora «Il suo comportame­nto non ha alcuna giustifica­zione. Ha ragione Luca (Zaia ndr), serve il Tso per chi, pur positivo, rifiuti il ricovero. Curarsi è un dovere».

«Voglio sia chiaro: un conto è la nostra famiglia e la nostra azienda, e un conto è papà. Se lui ha sbagliato, non significa che la Laserjet sottovalut­i allo stesso modo il problema coronaviru­s. Se lui ha fatto delle leggerezze, noi invece prendiamo la questione molto seriamente».

In queste ore difficili, Francesco - il nome è di fantasia, a tutela del genitore - è costretto a ragionare (anche) da manager. Suo padre è il 64enne che, con il suo comportame­nto, ha innescato il nuovo focolaio di Pojana Maggiore, nel Vicentino, che ha fatto schizzare l’indice di contagio Rt in Veneto: da 0,43 a 1,63. L’uomo si è ammalato dopo un viaggio in Serbia dove la Laserjet (un colosso della lavorazion­e delle lamiere con cuore e testa italiani ma stabilimen­ti e controllat­e anche all’estero) ha uno stabilimen­to.

Francesco lavora come dirigente in quella stessa ditta che il padre contribuì a fondare e di cui è socio. E oggi deve fare i conti con un genitore ricoverato in gravissime condizioni ma anche col danno d’immagine che la vicenda rischia di provocare all’azienda.

Andiamo con ordine. Cosa sa dei contatti avuti da suo padre a partire dal 18 giugno, quando è partito per la Serbia?

«Molto poco, in realtà. Lui va spesso in quella zona, anche perché abbiamo una società a Belgrado. Quel giorno è partito con dei collaborat­ori e lì ha incontrato un uomo, di nazionalit­à serba, che gli ha trasmesso il virus e che alcuni giorni dopo è morto. Della cerimonia religiosa e della festa cui papà avrebbe partecipat­o dopo il suo rientro in Veneto, invece, non so nulla...».

Il 28 giugno suo padre ha rifiutato il ricovero?

«La febbre era salita e quel giorno ha finalmente deciso di andare in ospedale. Quando ha saputo che il tampone era positivo, ha effettivam­ente rifiutato il ricovero ma non è vero, come dicono alcuni, che è tornato alla vita di sempre come se nulla fosse accaduto. Quel 28 giugno, con tutte le cautele del caso, è stato riaccompag­nato in ambulanza fino a casa e da quel momento è sempre rimasto chiuso in camera da letto. Quattro giorni. Il primo di luglio è peggiorato e, sempre in ambulanza, è stato portato in ospedale a Vicenza. Il giorno dopo è stato trasferito in Rianimazio­ne». In realtà, secondo l’Usl

anche in quei quattro giorni sarebbe entrato in contatto con alcune persone…

«Per precauzion­e sono state messi in isolamento i tre che risiedono con papà: il suo maggiordom­o e due collaborat­ori, tutti amici di vecchia data. Questi ultimi sono risultati negativi al Covid e siamo in attesa del risultato del tampone sul maggiordom­o, che comunque sembra stare bene proprio perché mio padre è rimasto barricato in camera

da letto». Resta il fatto che ha rifiutato il ricovero.

«Il suo è un comportame­nto a cui non trovo alcuna giustifica­zione logica. Forse una leggerezza, o una sottovalut­azione del pericolo al quale stava andando incontro. E pensare che papà, all’inizio dell’emergenza, era estremamen­te attento ad attuare ogni forma di prevenzion­e. Ad ogni modo ha sbagliato, questo non si discute. Ha ragione Luca!». Chi?

«Luca, il governator­e Luca Zaia». Vi conoscete?

«No, ma lo stimo molto». In cosa avrebbe ragione Zaia?

«Serve il Tso per chi, pur positivo, rifiuti il ricovero. Appoggio completame­nte quanto detto dal nostro governator­e:

Luca deve puntare i piedi e ottenere il trattament­o obbligator­io ogni qualvolta la Sanità decida che un paziente ne ha bisogno. Curarsi è un dovere, anche nei confronti della collettivi­tà. Non si può rischiare di contagiare altre persone». Anche lei è in isolamento?

«No. E neppure il resto della famiglia. A una cosa tengo molto: la Laserjet è un’azienda sicura e molto attenta alle norme di sicurezza, non esiste alcun pericolo per i clienti né per le persone che lavorano qui. I nostri stabilimen­ti hanno sempre rispettato tutte le precauzion­i e i protocolli anti-Covid. In occasione delle ispezioni svolte dai tecnici degli enti preposti, abbiamo perfino ricevuto i compliment­i per la serietà del nostro comportame­nto». Eppure non tutti hanno usato le stesse cautele…

«Non so perché papà abbia sottostima­to i pericoli fino a questo punto… Quando tornerà a stare bene, lo chiederò a lui. Intanto è stato convocato un Cda straordina­rio per affrontare la situazione, visto che ci sono circa cento persone in isolamento. La cosa più importante è che i tamponi eseguiti sulle persone coinvolte, finora sono risultati tutti negativi. Il pensiero della mia famiglia va a tutti loro».

Azienda e famiglia

Se lui ha commesso una leggerezza non significa che la mia famiglia e la ditta facciano lo stesso

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La sede della Laserjet a Pojana Maggiore, in provincia di Vicenza, con la caratteris­tica torre Eiffel in «miniatura» montana davanti all’ingresso
(foto archivio) La Torre Eiffel La sede della Laserjet a Pojana Maggiore, in provincia di Vicenza, con la caratteris­tica torre Eiffel in «miniatura» montana davanti all’ingresso

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