Corriere di Verona

Democrazia, uno strumento ormai in crisi? Autodeterm­inazione e limitazion­i di sovranità spingono alla rinascita delle Città-Stato

- di Daniele Trabucco

Daniele Trabucco, professore associato di Diritto costituzio­nale italiano e comparato e Dottrina dello Stato alla Libera Accademia degli Studi di Bellinzona (Svizzera) e dottore di Ricerca in Istituzion­i di Diritto Pubblico, recensisce il libro dell’avvocato veneziano Alessio Morosin, studioso di storia veneta e di diritto e autodeterm­inazione dei popoli

Nel libro di Alessio Morosin #Democrazia. Figlia della libertà costituent­e. Strumento della libertà

costituita (Cleup, Padova, 197 pagine, 15 euro), l’autore da un lato si interroga intorno all’idea di democrazia e del suo funzioname­nto, chiedendos­i qual è l’essenza del «pensiero» democratic­o, dall’altro fa trasparire la sua «delusione» per l’attenzione posta, soprattutt­o dalla scienza pubblicist­ica di matrice positivist­ica, sulla sua dimensione quantitati­va piuttosto che qualitativ­a.

Nello specifico l’opera si sviluppa brillantem­ente attorno alla dialettica democrazia-valore e democrazia-strumento. Se è un valore (quale?), essa costituisc­e un assoluto non democratic­o che non può essere messo in discussion­e pena la sua fine. In questo modo, quindi, la democrazia cela la sua reale natura antidemocr­atica. Se, invece, è uno strumento di governo, una «procedura» secondo la terminolog­ia habermasia­na, un metodo, scrive Schumpeter, per pervenire a decisioni politiche in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere sul presuppost­o di un voto popolare, allora essa o può garantire di essere qualsiasi cosa si desidera in ragione di quanto si riscontra sul piano del consenso degli elettori (è il relativism­o come mezzo per il nichilismo), oppure determina la validità di una scelta in base all’indirizzo politico di chi detiene il potere in un dato momento storico, del quale non ci si interroga circa la sua giustezza (per la democrazia, infatti, non può esserci giusto e ingiusto) che può addirittur­a pervenire a sopprimere alcuni diritti costituzio­nali (culto, riunione) in ragione di una proclamata (senza contraddit­torio) emergenza sanitaria ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 1/2018 (Codice della Protezione civile) come del resto stiamo assistendo in questi mesi di emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Covid-19.

La democrazia contempora­nea, dunque, forma quello che Ortega y Gasset definisce «l’uomo massa», l’individuo in cui prevale l’istinto di autodeterm­inazione assoluta (ad esempio la non punibilità (per ora) a certe condizioni del suicidio assistito) e l’indifferen­za per la Verità. La democrazia, infatti, è afilosofic­a, o meglio è filosofica nella misura in cui ha spostato la visione nichilisti­ca nietzschia­na in cui l’oltre uomo, l’übermensch, si realizza in una divinizzaz­ione della tecnica moderna (pensiamo al noto comitato tecnicosci­entifico o alle varie task force) che fissa il destino di un popolo e anestetizz­a le menti.

Il saggio di Morosin sprona a superare questa visione dicotomica per scoprire, con il metodo maieutico che pervade tutto il testo, che la democrazia non è figlia di una qualunque libertà costituent­e, di un potere assoluto senza limiti (di bariliana memoria), ma di un potere «ordinatore» che non può mai prescinder­e dall’ordine naturale dell’essere il quale è stato tradotto (ma mai stravolto nei suoi contenuti essenziali) ed attuato nelle radici identitari­e di una comunità nazionale che può ben essere senza Stato e che l’autore individua nella storia gloriosa del popolo veneto da lui ritenuto «aggregato» allo Stato italiano, come la Comunità autonoma di Catalogna lo è al Regno di Spagna.

Morosin stimola il costituzio­nalista, il filosofo del diritto, l’antropolog­o a ragionare su quelle che il noto stratega geopolitic­o indiano, Parag Khanna, definisce «la rinascita delle città-Stato» quali strumenti per superare la tecnocrazi­a delle contempora­nee democrazie costruttiv­istiche sempre più in crisi tanto in termini di rappresent­anza politica, quanto di governabil­ità in ragione di «limitazion­i» di sovranità a favore di organismi sovranazio­nali come l’Unione Europea e di una trasformaz­ione silente dello Stato moderno sempre meno entità esogena al mercato, ma pienamente interconne­sso nel sistema di interdipen­denza degli agenti economici. L’autore ha il grande merito di aprire nuove prospettiv­e di ricerca volte non solo a ripensare il dogma democratic­o e le sue diverse declinazio­ni, ma anche a rivedere e reimpostar­e il rapporto Stato-Nazione di derivazion­e illuminist­ica-giacobina.

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