Di padre in figlio, il reticolo delle cosche dalla Calabria al confino nel Veronese
Antonio Albanese, arrestato mercoledì e ritenuto uno dei boss del clan, è il figlio di Vincenzo Albanese. «Sorvegliato speciale, giunto a Sommacampagna verso la metà degli anni Ottanta per effetto del fenomeno migratorio legato anche agli obblighi di dimora disposti nei confronti di soggetti pregiudicati», descrivono il più anziano i carabinieri del Ros di Padova nell’informativa dell’indagine Taurus. Idem per Pasquale Napoli, detto «u ‘zoppo», padre di Agostino, pure lui in carcere da due giorni per essere stato, secondo la Dda di Venezia, membro della ‘ndrina che si era insediata nella Bassa veronese. «Era stato ferito nell’ambito della faida che negli anni Settanta a Gioia Tauro aveva coinvolto le famiglie Gerace e
Italiano – scrivono i Ros – ed era giunto a Sommacampagna verso la metà degli anni Ottanta». Ecco come le cosche sono sbarcate nel Veronese quasi quarant’anni fa, instaurando quella che per il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi non è «solo un’infiltrazione, ma un radicamento decennale». «Dal 1981 a oggi», scrive il pm Patrizia Ciccarese nel capo d’imputazione per associazione mafiosa. E non è l’unico caso. «Per tale fenomeno migratorio, in quegli anni si è infatti registrata in tutta la provincia di Verona la presenza radicata e significativa di famiglie calabresi di ‘ndrangheta», continuano i carabinieri, ricordando per esempio che a Bardolino, nel 1987, arrivò Giuseppe «Peppino» Piromalli, già condannato come capo dell’omonimo clan.
La cosca si radica in Veneto, ma tiene contatti e legami con la Calabria, come dimostra la girandola di parentele che lega le famiglie. Carmine e Mario
Gerace sono i figli di Filippo – mafioso doc con condanne per omicidi e armi – rimasto in carcere dal 1982 fino a pochi mesi prima della sua morte, avvenuta all’ospedale di Peschiera il 5 dicembre 2018: prima del ricovero era stato messo agli arresti domiciliari dalla zia Carmela Napoli, sempre a Sommacampagna. Mario sin dal 2003 aveva intrattenuto rapporti con società di autotrasporti riconducibili alla cosca Pesce di Rosarno, tra cui anche la Tranz Veicom e la Verotransport di Nogarole Rocca. Carmine Gerace aveva stretti rapporti con Giuseppe Versace, che con i fratelli si era stabilito nel Veronese. Anche il padre di Filippo Gerace era sposato con una Napoli e una delle nipoti, Antonia, era a sua volta moglie di Domenico
Versace: i figli Diego, Giuseppe, Francesco sono finiti in carcere martedì. I Napoli erano anche imparentati con gli Albanese, perché nonno Agostino aveva sposato Mariangela Albanese.
Una mafia duplice, quella in salsa veronese. Da un lato estorsioni, usura, furti e la tipica «protezione» agli imprenditori compiacenti, come emergerebbe nel caso di Luca Cubi, titolare dell’omonima impresa di impiantistica: quando Cubi fa resistenza ad assumere Emanuele Versace, il padre Giuseppe dice a un sodale che «da oggi in poi quando uno mi dice “vado a rubare da Cubi” “andate e fate quello che volete”». Ma c’era poi l’aspetto economico. «Pur essendo privilegiata la componente affaristica rispetto ad azioni violente eclatanti, il sodalizio in esame non ha certo rinunciato ad esercitare la forza intimidatrice», conclude il gip Francesca Zancan.
I rapporti Una girandola di parentele lega le famiglie