Addio a Umicini il fotografo che narrò Padova
Attaccato alla vita, in quel suo modo molto franco e diretto: ma fino a giovedì sera. Giovanni Umicini è morto per una crisi respiratoria e cardiaca, a 89 anni, dopo una corsa all’ospedale. Su quel lettino, da solo per le cautele anti Covid, ma ormai assopito, se n’è andato portandosi dietro una vita da grande fotografo, probabilmente il più grande interprete della Padova degli ultimi cinquant’anni. Anzi, non portandosela via, questa vita da fotografo, ma lasciandocela. Al terzo piano del Centro Culturale Altinate San Gaetano, le sue foto accolgono, abbracciano, stupiscono, trascinano dentro la città. Le ha regalate al Comune dopo una mostra strepitosa, nel 2007 al Museo del Santo: 180 immagini, tutte rigorosamente in bianco e nero, di grande mano, ma soprattutto di grande testa. «Mai fatta prima da nessun padovano - diceva Gianni - Ci voleva un toscano». Toscano? Toscanaccio, piuttosto, nato a
Firenze nel 1931, scatta le prime foto a 14 anni con una Zeiss Ikonta prestatagli da un frate francescano di Siena. Ricordava: «Foto fatte per strada, le più belle della mia vita». I frati e Umicini, un binomio fondamentale. Conteranno eccome anche quelli del Santo, che chiamano lui per documentare la ricognizione delle ossa di sant’Antonio, nel 1981. E’ un’operazione top secret, e loro vogliono il più bravo. E’ lui, ma è «comunista e divorziato», e magari ogni cinque parole infila una bestemmia. «Non ci interessa dicono i frati - basta che sia bravo». Sarà un lavoro unico, e un rapporto profondo con i religiosi: Umicini è un ateo a modo suo, «credo in Dio ma non nella Chiesa», avrà un rito funebre laico. La sua religione – a parte quel suo amore per un Dio a tu per tu – era la fotografia. Adesso diventa un flash la sua vita. Arriva a Padova per il servizio militare, in Aeronautica, finisce che lo mandano negli Stati Uniti a fare corsi di fotografia aerea. Smesse le stellette, Umicini diventa il primo direttore del laboratorio Kodacolor. E’ un mostro di tecnica, ma la creatività bussa forte e vince. Diventa fotografo indipendente, lavora per la pubblicità, clienti importanti. Raccontava Umicini «Ci sono le fotografie per mangiare. E ci sono le fotografie». Padova diventa la sua Padova, ripresa nel bello e nel brutto, nella sua gente, anno dopo anno: la sua Leica respirava l’aria delle piazze. Arrivano le mostre, la consacrazione. Umicini mette il suo sapere a disposizione dei giovani, l’osteria all’Anfora diventa sede di corsi gratuiti e frequentatissimi. Della generazione dei Ciol, dei Berengo Gardin, dei Gerolimetto, trasmette ai giovani il sapere e l’amore per una fotografia che si evolve. Si tuffa anche nel suo archivio, pubblica un libro su New York con le foto polaroid di 33 anni prima. Umicini lascia la moglie Serenella, sua modella diventata compagna di vita. E Alessandra, l’angelo custode del suo archivio.