TIPI VERONESI MARIA LUIGIA VASSANELLI «Abdico da Madonna Verona»
Gli inizi in Corso Milano e le cambiali. Nel 1980 l’idea del pianobar frequentato da Salvetti, Califano, Vasco e Celentano in un ex deposito edile. Poi l’incoronazione a regina del Bacanal: «Ora lascio a mia figlia Paola»
«Tipi veronesi» è una proposta domenicale del Corriere di Verona che intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città. Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaboratore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazioni scrivere a corrierediverona@corriereveneto.it o lorenzo.fabiano@me.com
Il pianoforte, le luci basse, pareti che raccontano storie. Al centro lei, la regina: «Io sono Madonna Verona», proferisce Maria Luigia Vassanelli, o meglio «Luisa», il cui regno da quarant’anni è il pianobar che tra Piazza Santa Anastasia e Sottoriva porta il nome della sua corona. Ci concede il «Lei» e per tanta magnanimità ci inchiniamo a Sua Maestà: «Il Bacanal mi nominò regina di Piazza Erbe - racconta - e lì fui incoronata. Ma i piassaroti insorsero perché sostenevano non fossi una di loro. Io non volevo più saperne, così mi nominarono Madonna Verona, Mea Domina Verona che sta sulla fontana di Piazza Erbe come simbolo della città. Da allora al carnevale ho sempre sfilato come Madonna Verona». La corona se l’è sudata, e per spiegarcelo indica il soffitto tappezzato di cambiali: «Ho aperto sei locali in successione sempre allo stesso modo, firmando cambiali che ho sempre onorato fino all’ultimo centesimo. I giovani non sanno nemmeno cosa siano, così glielo spiego io».
Un «fior de Verona» sbocciato a Bussolengo: «Papà calzolaio, la mamma a casa coi figli, due femmine e un maschio. Io ero vivace, “vien qua che te dago” mi diceva, ma deve ancora prendermi». Il nonno mugnaio, la casa col mulino: «Non avevamo l’acqua, usavamo quella dell’Adige. Oggi andremmo al Creatore». In piazza a Bussolengo dopo la guerra i Vassanelli aprono un’osteria che è un po’ un emporio: latte, gelati, sigarette; il piatto della casa sono le trippe: «Uscivo solo per consegnare il latte. Non ne potevo più, volevo scappare». Un giorno dall’osteria passa un bel ragazzo: «”Pecà che te lavori al bar, mi odio i bar” mi disse. Lo sposai. Avevo 21 anni e quando ci ripensai era ormai la mattina del matrimonio, troppo tardi». Con un uomo che nemmeno conosce, non sarà un matrimonio felice. Nascono tre figli, la coppia si separa nel 1970. Luisa gestisce un bar in Corso Milano presso una stazione di benzina; vi rimane due anni: «Volevo aprire un locale tutto mio: ne trovai uno in Viale Colombo che era stato gestito dagli americani. Lo acquistai firmando cambiali».
È il via ai “pagherò”: «Vidi un manifesto con scritto “Boomerang”. I clienti si trovano così bene che tornano come un boomerang, pensai. E così lo chiamai». Di Boomerang ne verranno altri tre, a distanza di tre anni l’uno dall’altro. Prima a San Fermo, poi il City Pub in Vicolo Guasto, e infine il quarto Boomerang in Via Roma. Nel 1980 apre il Madonna Verona: «Era un deposito di materiali edili. Lo misi in piedi da zero. Mio papà Lino purtroppo non stava bene. Era attore di teatro amatoriale, suonava il piano e la tromba: era ricoverato in ospedale, finsi un’inaugurazione, lo portarono qui in ambulanza. Quando iniziò a suonare al pianoforte, ero la donna più felice al mondo».
Al Madonna Verona respiri la vera atmosfera del pianobar: «Cliente fisso, Vittorio Salvetti nei giorni del Festivalbar si sedeva sul divano ad ascoltare i suoi artisti per i provini. Quando veniva al Teatro Nuovo, un angolo era riservato ad Aldo Fabrizi; Franco Califano ordinava una bottiglia di whisky e fumava. Con lui c’era un bel rapporto di amicizia. Qui venivano anche Walter Chiari, Cochi e Renato e Adriano Celentano». A Verona, Vinicio Capossela apre i concerti con un aneddoto: «Facevo pianobar a Verona: la proprietaria mi diceva “se ti va di suonare, suona. Ma non cantare perché non sai cantare”». A Vasco Rossi è andata ben peggio: «Si presentò con gli occhiali scuri in piena notte poco prima della chiusura alle 4. Insisteva, lo cacciai minacciandolo col martello».
Racconta di Giordano Bruno Guerri: «Si stava gustando il suo whisky quando entrò la polizia per farci smettere con la musica. “Qua no se smorsa niente” risposi. Tornarono con due pattuglie, fui irremovibile: “Ve digo che no se smorsa niente” ribadii. La musica andò avanti e su questa storia Guerri scrisse un articolo. Mi raccontarono che in questura sulle macchine della polizia trovarono poi le copie del giornale con un biglietto: “La prossima volta, pensateci bene prima di andare dalla Madonna Verona”». Cavaliere del Lavoro dal 1983 e Ufficiale della Repubblica italiana dal 1998, Luisa racconta: «Per anni sono stata l’unica donna di Verona a gestire i locali. Ho subito cattiverie ma ho tenuto duro, e alla fine ho aperto una strada al mondo femminile in questa città». Al Carnevale non sfilerà però più: «Abdico a mia figlia Paola». «Ma nella famiglia reale, lei è allora la Regina Madre», rilanciamo. «Ah, questa mi pare proprio una buona idea». E così sia.