Max Pezzali live a Villafranca con le hit degli 883
«Max90 Live» al Castello Scaligero di Villafranca (Verona): oggi e domani i successi di un decennio «formidabile»
Il cantante rievoca quel periodo: «C’era ottimismo per il futuro, cadevano i muri Pensavamo di essere un affare di un istante e invece siamo durati a lungo»
Niente camicione a quadri e colori fluo, ma la musica sì sarà quella degli anni Novanta. Oggi e domani al Castello Scaligero di Villafranca (Verona, ore 21, info www.eventiverona.it) e ancora l’11 settembre a Vicenza (ore 21, info www.vicenzainfestival.it), Max Pezzali porterà sul palco «Max90 Live», concentrato di quel sound firmato 883 che ha segnato il decennio a suon di dischi di diamante.
Max, come le è venuta in mente un’estate anni Novanta?
«L’idea è venuta dal successo del libro, Max90 (2021, Sperling & Kupfer). Da lì ho capito che c’era nostalgia per quel periodo e ho pensato di portare la stessa cosa anche sul palco. Abbiamo pensato di puntare non sulla sontuosità dell’evento ma sulla specificità del repertorio. Ci sarà un palco semplice, le canzoni degli 883 e il racconto di quei brani per chi non ha vissuto gli anni Novanta».
Che cosa aveva di speciale quel periodo?
«Chi ha vissuto quel decennio ha potuto vedere il mondo prima della rete e, allo stesso tempo, l’inizio della rivoluzione digitale. C’era un grande ottimismo per il futuro, cadevano i muri, l’Europa era vista come un elemento salvifico, in America era arrivato Clinton dopo gli anni Ottanta muscolari di Regan e si viveva l’Inghilterra della “Cool Britannia”. Sembrava che gli anni Novanta fossero il decennio perfetto per agevolare l’arrivo del nuovo millennio e, con esso, una nuova epoca di prosperità, equità e circolazione delle idee. Poi però è arrivato l’11 settembre».
Che cosa le manca del periodo anni Novanta?
«Le cose migliori succedono quando si esce dal programmato invece oggi è impossibile perdersi. Allora, andando da A a B, poteva accadere qualcosa di inconsueto, strano o imprevisto, mentre oggi è tutto molto bello ma assolutamente prevedibile».
Quale è stata l’intuizione musicale più rilevante degli 883?
«Abbiamo usato un linguaggio quotidiano e sincero, raccontando ciò che accadeva nei dieci metri quadrati intorno a noi. Solo dopo ci siamo resi conto che in tanti vivevano in dieci metri quadrati simili ai nostri. Senza saperlo siamo stati i primi a raccontare la provincia senza la vergogna di essere provinciali».
Eravate consapevoli in quegli anni che stavate costruendo qualcosa che sarebbe rimasto a lungo?
«Pensavamo di essere un affare di un istante e invece siamo durati più a lungo del previsto. Facevamo quello perché non sapevamo fare altro. Avremmo voluto scrivere canzoni diverse, ma ci rendevamo conto dei nostri limiti».
Tra le canzoni in scaletta, ce ne è una che non vede l’ora di cantare?
«C’è una canzone che facciamo solo per questo tour: Il grande incubo. Riprendendola in mano ho scoperto un brano molto divertente da cantare e ascoltare».
Non le manca sul palco la presenza di Mauro Repetto?
«Se lo pensassi infelice, mi mancherebbe. Ma in realtà, quando ci sentiamo, capisco che sta facendo quello che gli piace e non posso non essere felice per lui. Certo siamo cresciuti sui banchi di scuola e quando fai le cose con un amico e un complice ti diverti il doppio».