Corriere di Verona

Distretti, chi produce torna al centro «La sfida? Il passaggio di competenze»

Boschetti (concia): «La formazione è il nervo scoperto». Baban: «Ora servono investimen­ti»

- Gianni Favero

Il distretto, anima del Nordest produttivo che un tempo faceva tutt’uno con le consideraz­ioni sulla «locomotiva economica d’Italia», è in gran ri-spolvero. Dopo una forte crisi d’identità, legata per lo più all’allungamen­to della catena delle forniture ben al di fuori delle aree in cui le specializz­azioni sono nate e cresciute, si scopre che il modello, nei mesi oscuri della pandemia, ha riacquista­to centralità. Lo ha messo in evidenza ieri su «Corriere Imprese Nordest» Luca Romano, ricercator­e e direttore di Local Area Network: il Covid ha provocato un vero stress test, è la tesi, e «si è restituito potere a chi sa produrre».

«La domanda da porsi – interviene su questo punto Alberto Baban, presidente della rete di investitor­i industrial­i VeNetWork – è perché questo sia successo. Teniamo presente che nel 2021 c’è stata un’anomalia particolar­e del mercato, il quale ha “chiamato” oltre ogni proiezione. E quando questo accade, si riaccende la supply chain nelle zone in cui questa si è mantenuta attiva, grazie a investimen­ti magari dovuti a piani pre-pandemia: ricordo che il piano Industry 4.0 è del 2017. Nei distretti, le produzioni funzionano perché c’è knowhow, certo, ma anche perché l’elemento produttivi­tà è stato accompagna­to dall’evoluzione tecnologic­a. Adesso si tratta di capire quanto durerà la sbornia – prosegue Baban - e se è iniziato un processo virtuoso oppure ci sarà un punto di rottura. La morale è che la richiesta di mercato non ci ha trovati impreparat­i ma adesso è necessario sfruttare al massimo le risorse avute in più per dedicarle agli investimen­ti».

Visto dall’interno, per esempio dal cuore dell’occhialeri­a bellunese, l’effetto benefico dovuto all’appartenen­za a un distretto esiste, ma va declinato in modo diverso rispetto al passato. Ne parla Del Din, presidente della Premaor, di Taibon Agordino: «Prima del 2010 la nostra era un’azienda di terzisti ma poi abbiamo scelto di realizzare solo il nostro brand, Blackfin, un prodotto tutto in titanio, di fascia alta. Nell’anno del Covid la nostra flessione è stata assai più contenuta rispetto alla media del settore e nel 2021 abbiamo registrato il record storico per fatturato (+15% sul 2019) e utili. Il distretto, insomma – aggiunge l’imprendito­re - è un’entità fondamenta­le che dà un vantaggio competitiv­o enorme, ma non basta più per avere la certezza che le cose vadano a finire bene. A parte il momento specifico, penso che in ogni caso le cose in futuro saranno sempre a macchia di leopardo, il successo o meno di un’azienda dipenderà dalla strategia dei singoli. Se si vuole vendere di più occorre avere idee e aguzzare l’ingegno per rubare una fetta di mercato ad altri. Non è più perché sei nel distretto che le cose andranno bene per forza. Per dire, una volta – chiude Del Din - i cinesi non c’erano».

Qualche perplessit­à giunge da Stefano Zanon, segretario generale della Femca Cisl (il sindacato del settore moda) del Veneto: «La riaccensio­ne dei distretti è una consideraz­ione che dal mio punto di vista può essere riconosciu­ta per l’occhialeri­a, mentre ho qualche dubbio, per esempio, relativame­nte alla calzatura della Riviera del Brenta. Per lo Sportsyste­m di Montebellu­na bisogna poi capire se si possa ancora parlare di distretto, visto che lo scenario è profondame­nte cambiato dopo le delocalizz­azioni avvenute fra gli anni Novanta e Duemila».

Approva invece l’analisi Riccardo Boschetti, presidente del distretto veneto della pelle: «Siamo sicurament­e riusciti a superare una fase delicata, il distretto è e rimane il modello più agile, almeno per quanto riguarda il nostro mondo. Negli ultimi anni ogni azienda ha affrontato un proprio percorso di innovazion­e tecnologic­a, ci sono stati cambiament­i importanti negli assetti societari ma è stato mantenuto integro il Dna, anche per quanto riguarda i rapporti con le aziende ancillari, indispensa­bili per la flessibili­tà e la gestione di laNicola vorazioni magari più povere ma altrettant­o essenziali. Un nervo scoperto è purtroppo quello della trasmissio­ne delle conoscenze. Di questo dovremo occuparci sempre di più, perché serve un cambio di passo, anche la concia ormai si è largamente convertita al 4.0 e siamo in ritardo. Il nostro Istituto tecnico non basta più, sulla ricerca di manodopera – conclude Boschetti -, per il momento siamo in uno stato di difficoltà ancora gestibile ma in futuro il problema rischia di diventare serio».

«Nonostante gli Istituti tecnici superiori (Its) esistano ormai da 10 anni – si accoda al ragionamen­to Silvia Tebaldi, coordinatr­ice dell’Its Fashion Fondazione Cosmo -, continuano a non essere una scelta di tipo “A”. Tutti i giorni abbiamo aziende che chiedono competenze di un certo tipo, i diplomati sono sempre tutti collocati. Eppure siamo assolutame­nte insufficie­nti e questa, per un Paese che basa le proprie eccellenze sulla formazione tecnica e sulla capacità di utilizzare le mani, è una questione centrale».

Tebaldi

Gli Its restano una seconda scelta

Zanon

Ma lo Sportsyste­m è ancora un distretto?

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La prima pagina di Corriere Imprese con il maxi sandalo, simbolo del distretto della calzatura nella Riviera del Brenta
In copertina La prima pagina di Corriere Imprese con il maxi sandalo, simbolo del distretto della calzatura nella Riviera del Brenta
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