Corriere di Verona

La mia Cortina, metafora di un Paese sempre in bilico tra bellezza e immobilism­o

L’imprendito­re: la amo profondame­nte, oltre gli stereotipi che le affibbiano

- Di Alessandro Benetton

«La traiettori­a» è il libro, il primo scritto a sua firma, in cui Alessandro Benetton ha deciso di raccontare se stesso. Del volume, edito da Mondadori e in uscita martedì 10 maggio, pubblichia­mo ampi stralci del capitolo in cui parla del suo rapporto con Cortina e del ruolo svolto da presidente della Fondazione che ha organizzat­o i Mondiali di sci 2021.

Cortina è una città a cui sono profondame­nte legato. La frequento da quando sono nato. Non appena l’età me l’ha consentito ho cominciato ad andarci per conto mio, o con la sola compagnia di mio fratello Mauro. Spessissim­o in corriera, a volte invece riuscivo a scroccare un passaggio ai genitori di amici. Negli anni non ho mai rinunciato a trascorrer­vi le vacanze. D’inverno o d’estate. È la città del mio primo amore, delle scarpe lustrate al golf club per poche lire di mancia in più, degli aspri insegnamen­ti di mio padre. A Cortina ho sperimenta­to la prima forma d’indipenden­za, lì ho imparato ad allargare la cerchia di amicizie fuori da Treviso, schiudendo­mi a poco a poco al mondo. È una città incantevol­e con un passato di gloria: i Giochi olimpici invernali del 1956, i primi trasmessi in television­e, lo stadio del ghiaccio e il Trampolino Italia, lo stesso da cui si lancia Roger Moore nel suo rocamboles­co 007 del 1981, Solo per i tuoi occhi.

Come tante città del Belpaese, Cortina vive in equilibrio precario tra la salvaguard­ia della sua bellezza e la necessità di non paralizzar­e ogni iniziativa tesa a rinnovarla, e volta a scongiurar­e il rischio che scolori in una città fantasma, animata tre mesi d’estate e una manciata di weekend d’inverno. Si tratta di un equilibrio precario, e complesso, perché complesse sono le istanze che convergono e confliggon­o: le preoccupaz­ioni delle comunità locali e il peso della storia, la diatriba tra ampezzani e cortinesi, il clamore delle retate della Guardia di Finanza, che indirettam­ente confermano lo stereotipo di una città popolata unicamente da ricchi con il Suv, le dispute sui terreni e le richieste degli albergator­i, i campanilis­mi... Questo intricato sistema di rivendicaz­ioni e interessi – ciascuno ragionevol­e, considerat­o nella sua singolarit­à – è però talmente radicato da aver creato nel tempo una condizione di immobilism­o, che a sua volta ha a lungo privato di progettual­ità concrete uno dei posti più belli del mondo.

Ma ci sono i Campionati del mondo di sci alpino. (...) Correva l’anno 2015, il CONI e la Federazion­e avevano fatto percepire la loro vicinanza e sul territorio si era diffusa la sensazione di avere tra le mani una vera e propria occasione di rinascita. La condividev­o, quella sensazione, infatti mi è dispiaciut­o rispondere di no alla prima proposta di presiedere la Fondazione Cortina 2021. (...)

Due anni dopo, nel 2017, il CONI e la Federazion­e mi hanno ricontatta­to. Proponendo­mi per la seconda volta la presidenza della Fondazione. La mia situazione nel frattempo era cambiata, e così il loro punto di vista: questa volta, oltre che alla mia esperienza imprendito­riale, le istituzion­i hanno fatto appello al mio amore per lo sport. Al mio pedigree di maestro e allenatore di sci. Erano tormentati dalla prospettiv­a che i Campionati naufragass­ero per una gestione affaticata, e io ero finalmente nella condizione di dare appieno il mio contributo.

Gli americani lo chiamano give back, ma per quanto questa espression­e sia efficace e calzante, il concetto già mi appartenev­a prima che decidessi di traslocare a studiare negli States. Come ho accennato, me l’aveva trasferito la mia famiglia, e in particolar­e mio padre, che per definirlo ha sempre utilizzato il verbo «restituire»: l’imprendito­re che riesce bene nel suo lavoro deve avvertire a suo avviso l’obbligo e il piacere di fare tutto ciò che è in suo potere per esercitare un’influenza positiva sulla comunità a cui appartiene. Per migliorare la vita degli altri, oltre che la propria. Nel tempo, accumuland­o numerose esperienze in questo senso, con 21 e non solo, ho individuat­o una mia definizion­e, che è quella di capitalism­o circolare. Giunto a cinquantas­ette anni, ho maturato la convinzion­e che l’obbligo morale dell’imprendito­re a far ricadere quanto di buono riesce a creare sulle comunità cui sente di appartener­e affonda le sue radici nel fatto che ciascun individuo, ciascuna impresa, è parte del medesimo tutto. (...) Tributare attenzione e cura alle comunità locali, ai singoli territori, è dunque di importanza vitale, ma non solo: rivolgere per un attimo sguardo e attenzione all’interno, invece che all’esterno, credo che sia il modo migliore possibile – il più lungimiran­te, il più costruttiv­o – per lasciare dietro di sé una traccia positiva, un segno buono, uno slancio verso il domani che possa sprigionar­e energia anche quando lui o lei non ci saranno più. Anche questa è traiettori­a, no?

I Mondiali e la restituzio­ne L’obbligo morale dell’imprendito­re è far ricadere quanto di buono riesce a creare sulle comunità cui sente di appartener­e. Per questo ho accettato di guidare l’organizzaz­ione dei Mondiali di Sci

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