Globalizzazione addio, tornano scorte e magazzini
Componenti introvabili: le aziende si muovono. Tra i costi che crescono
VENEZIA Addio al just in time, l’industria a Nordest rivede scorte e magazzini. Se c’è un segnale di come si stia restringendo la globalizzazione, a cui si era abituato anche il Nordest, sotto i colpi delle crisi che si accumulano - la corsa dei prezzi dell’energia, le materie prime e i componenti introvabili e consegnati con mesi di ritardo, e da ultimo la guerra russa in Ucraina -, questo è il ritorno, anche a Nordest, dei magazzini. Realtà azzerata nell’era della globalizzazione, quando l’imperativo era diventato il just in time, l’arrivo della componentistica quando serve, per tagliare costi e tempi morti.
Adesso si torna all’antico. Al punto che ci si chiede quanto dietro agli ordini che continuano a correre, nonostante i timori di una recessione, ci sia proprio la dinamica del dover fare scorte. Il fenomeno spunta tra le righe nei report con cui molte società venete quotate in Borsa hanno presentato i conti del primo trimestre 2022. Ne aveva parlato per primo, a fine aprile, Walter Bertin, fondatore di Labomar, l’azienda trevigiana degli integratori alimentari, di fronte allo scarseggiare dei materiali, come lo zucchero per gli sciroppi o l’olio di mais: «Stiamo seriamente pensando di creare magazzini esterni per stoccare tutto quello che riusciamo a comperare. Abbiamo destinato agli acquisti un numero maggiore di persone cercando di mantenere i migliori rapporti con i fornitori».
Poi, a maggio, è toccato a Sit, l’azienda padovana della componentistica per il controllo del gas e dei misuratori smart dei consumi di gas e acqua, segnalare nel primo trimestre un aumento di 3,2 milioni di euro dei costi legati a logistica, tra
e produzione, e di 15 milioni del capitale circolante, «a seguito - come si leggeva nella nota trimestrale - della politica di approvvigionamento di componenti elettronici, per mitigare l’impatto della carenza e garantire il servizio al cliente». Risultato: la necessità di creare «una politica di approvvigionamento indipendente dai programmi di produzione».
Ma conclusioni simili si rintracciano nelle note intermedie del colosso trevigiano degli elettrodomestici De Longhi, che parla di «trascinamento della dinamica di aumento del magazzino vista nel 2021», mentre in Carel, il gruppo padovano dei sistemi di controllo per condizionamento e refrigerazione, l’amministratore delegato, Francesco Nalini, nella nota trimestrale, sostiene che di fronte alla penuria di materie prime si è reagito con il ridisegno di alcuni prodotti, per usare microprocessori alternativi, ma anche con «ordini di acquisto con termini più lunghi e un aumento significativo delle scorte».
Dunque just-in time addio e ritorno dei magazzini, altro segnale, come l’inflazione, di una globalizzazione sotto pressione? «Non sta tramontando solo il just-in time, ma un certo stile di globalizzazione. Ne abbiamo visto i limiti, con le difficoltà su materie prime e componentistica, acuite dalla speculazione, e ora con la guerra in Ucraina e il blocco per lungo tempo del porto di Shanghai con il lockdown da Covid. Concentrare nel SudEst Asiatico l’officina del mondo è stata una grave miopia. Se ne può uscire con una de-globalizzazione intelligente - dice Alessandro Riello, presidente del gruppo del condizionamento Aermec -. Anche per noi il nodo componentistica quest’anno si sta facendo drammatico; mentre se avessimo a disposizione quanto ci serve il 2022 potrebbe essere un anno storico».
Si torna a fare magazzino? «È così - dice Federico Visentin, alla guida di Mevis, l’azienda di componentistica metallica per automotive ed elettrodomestici e presidente di Federmeccanica -. Si stanno scontrando due idee: chi fa stock per cercare di non mettere in difficoltà i clienti, e chi dice che la logica è saltata e non ha senso inseguire questi prezzi. Io temo il rischio di una frenata brusca nel bel mezzo dell’estate. E sono scettico anche su un forte rientro delle lavorazioni dalla Cina per una questione di investimenti. Su certi comparti come elettronica e digitale, necessari per interi settori produttivi, sarebbe interessante sostenere i nostri campioni con investimenti pubblico-privati».
«Con i prezzi dei materiali anche triplicati, e un riequilibrio che tutti si attendevano e non è avvenuto, gli imprenditori si trovano a dover stabilire se evitare di approvvigionarsi attendendo momenti migliori, ma rischiando intanto di rimanere tagliati fuori, o farlo, facendo magari anche magazzino, ma rischiando perdite se i valori scenderanno - dice Alberto Baban, l’imprenditore presidente di Fantic e della rete Venetwork, mettendo l’accento sui rischi del momento -. Intanto l’inflazione erode capitale e utili delle aziende, con valori ormai vicini ai margini lordi. Si può tener duro così per un anno; farlo anche il prossimo diventerebbe complicato».
Riello
Serve una de-globalizzazione intelligente: i rischi sono chiari
Visentin
Rientri delle lavorazioni difficili di fronte al nodo investimenti
Baban
L’inflazione erode capitali e utili Resistere sara duro