Terra sospesa
I mosaici romani, i ricchi Boldù, i Padri Armeni, le saline, i fenicotteri rosa La storia di Lio Piccolo e un alternarsi di fortune e sfortune. Ora la riscoperta
Inoltrandosi lungo il sentiero immerso nelle barene, spesso l’unica compagnia sono i cavalieri d’Italia che si muovono tra gli specchi d’acqua mentre sale intenso l’odore della vegetazione, i cespugli tengono con le unghie le rive sabbiose, il cielo si fa enorme, la campagna e la laguna si confondono. Ci si può sentire sopraffatti pedalando tra gli orli di Lio Piccolo, che ti avvolgono senza far intravedere una via d’uscita e non desiderandola affatto.
Ti si appiccica addosso questo luogo magico e spettrale, desolato e lussureggiante insieme. A forza di pedalare nel silenzio della laguna, ci si ritrova protetti eppure vulnerabili.
Non è un caso che Pupi Avati abbia trovato qui il gotico veneto perfetto per il suo Il signor diavolo, libro (Edizioni Guanda, 2018) e film (del 2019), qui dove «al castello medievale e alla foresta tenebrosa sostituisce la chiesetta dall’intonaco scrostato — ha scritto Paolo Simonetti per «Pulp Libri» - La laguna avvolta nella nebbia, il diavolo appostato nello sprofondo della fossa d’acqua vicino al ponte, che lascia dei morsi esattamente come quelli del verro che è il maschio della maiala».
Certo oggi non è il Lio Piccolo dei primi anni ’50, anfratto di un Veneto bigotto e superstizioso, tumefatto dalla guerra da poco finita e rifugio ideale «in cui il Maligno incalzato dalla modernità è venuto a nascondersi», come scrive Pupi Avati. Oggi la chiesetta di Santa Maria della Neve non è più l’edificio scalcinato e ombroso, ma restaurato e colorato di rosa; oggi tre ristorantini sfornano paste, pesce e spritz in un’atmosfera caraibica. Oggi nugoli di turisti sanno di dover lasciare la macchina fuori e si inerpicano in bicicletta e persino col trenino gommato che li scarrozza lungo la strada principale.
Arrivano dal litorale del Cavallino con le sue spiagge e i camping che corrono fino a su, fino a Jesolo, e sono una piccola patria tedesca da primavera alle prime avvisaglie di autunno. Oppure arrivano dal Lido, con una comoda Linea 14, il ferry che in 20 minuti collega l’isola con Punta Sabbioni, l’approdo sul versante della Laguna del comune di Cavallino Treporti.
Eppure, nonostante tutto questo, Lio Piccolo conserva quell’aria sospesa e di leggera inquietudine. Restano tenaci i suoi venti e pochi abitanti, stretti nel loro pugno di case attorno alla chiesa e nei casolari camuffati in qualche sentiero interno. Quando si lascia il percorso selvatico che dalle barene sbuca nella piazzetta assolata, alle spalle dell’antico Palazzo Boldù, messo in sicurezza ma ancora scrostato, d’improvviso ci si può imbattere in un sorriso sornione e uno sguardo affranto.
«Gli argini dei sentieri sono fragili, nessuno rispetta i cartelli, nessuno ascolta i nostri moniti». Gente di poche parole. Si può annuire, dar coraggio. Ascoltando chi ci abita si può capire che tutto qui è troppo fragile per poter sopportare così tanti estranei, che cercano un posto capace ancora di incantare gli occhi. Ma alla fine non si può non ripensare a Pupi Avati e a quel Lio Piccolo dove i contadini ogni primo di novembre lasciavano il letto sfatto perché i morti potessero tornare a riposare e la piena del ‘51, «allagando il vecchio cimitero, aveva portato via le bare di quelli seppelliti nella terra. Molte famiglie andavano a cercare i loro morti che galleggiavano lontani». E allora ti viene da pedalare più forte.
Lio Piccolo è tutto questo. È anche il rifugio dei fenicotteri rosa che si danno appuntamento in questo lembo di Laguna Nord, strusciando i vestiti eleganti e le zampe da mannequin in una lenta danza snob. Lio Piccolo sono i suoi orti, famosi per le castraùre, il primo germoglio del carciofo violetto e gli alberi che si gonfiano di giuggiole. Lio Piccolo sono le sue albe e i suoi tramonti che sembrano colare sulla merlatura di isolotti, fango e acqua. Lio Piccolo è la sua storia: la fama di centro mercantile fin dall’epoca romana, testimoni sono le due case-emporio con tracce di mosaici, rinvenute sotto l’acqua; due secoli di abbandono e poi la rinascita; l’arrivo dei ricchi Boldù nel 1791 e le saline di San Felice; i padri Armeni Mechitaristi che nel 1911 innalzarono il campanile. E ancora un nuovo abbandono. Ora la riscoperta per quel che è davvero.
Parole Gli argini dei sentieri sono fragili, nessuno rispetta i cartelli o ascolta i nostri moniti