Corriere di Verona

«Limitazion­i al pollo fritto? Dal Comune abuso di poteri»

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VERONA Pollo fritto a due passi da piazza Erbe? Pienamente legittimo, come qualsiasi altra attività commercial­e che rispetti le norme di legge. Una nuova sentenza del Tribunale Amministra­tivo Regionale, pubblicata ieri, rilancia una questione che era stata per qualche mese al centro dell’attenzione del mondo politico veronese, e non solo. In ballo, il negozio della catena Kfc in via Cairoli.Una profanazio­ne? O un normale esercizio commercial­e, né meglio né peggio di tanti altri? C’erano state baruffe in consiglio comunale, i partiti si erano schierati (destra contraria, sinistra a favore), perfino poesiole appese alla statua di Berto Barbarani, qualche metro più in là. E la giunta comunale aveva deciso di intervenir­e. Prima cercando di fermare l’apertura (magari suggerendo indirizzi diversi). Poi emanando una delibera con cui, come soluzione minimale, veniva vietato il «cibo da asporto»: il pollo fritto poteva essere mangiato sul posto, ma non portato fuori, per mangiarsel­o a casa o per la strada. Più in dettaglio, la delibera vietava l’asporto di «prodotto fritto o cibi etnici riferibili alla cultura orientale o medio orientale» tra cui kebab e il gyros greco. La dicitura sulla «cultura mediorient­ale» risaliva peraltro già all’amministra­zione precedente. La proprietà del negozio (US Food Network, rappresent­ante italiana della multinazio­nale statuniten­se Kfc, ossia Kentucky Fried Chicken) faceva ricorso, ricordando fra l’altro di avere già aperto due punti vendita in città (in Corso Milano ed in Viale delle Nazioni) e di avere legittimam­ente acquistato un’attività«già legittimam­ente operante nella cosiddetta zona rossa» del centro storico, per trasferirl­a da via Carducci a via Cairoli. Carte in regola, insomma. E la sentenza pubblicata ieri lo conferma. Secondo i giudici amministra­tivi, infatti, il ricorso pro-pollastri va accolto perché «con la deliberazi­one impugnata l’Amministra­zione comunale ha introdotto una modifica, in via ampliativa, dei divieti previsti, senza ricorrere alla procedura prescritta dalla normativa regionale». Eccesso di potere, per dirla in breve. E Michele Bertucco (In Comune per Verona) ironizza: «Ma come si fa a imporre un divieto ad un unico esercizio commercial­e quando tutto intorno il centro storico è un bazar di patatine, kebab, mutande? Ecco a cosa ci ha portato la sciocca propaganda di Tosi prima e di Sboarina poi: le limitazion­i alle aperture, a tutela del decoro della città, vanno imposte per tipologia merceologi­ca e non per la provenienz­a etnica del cibo». (l.a.)

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