I piccoli «anti-fusioni» In diciassette Comuni c’è un solo candidato
Da Rivamonte a Brendola: la sfida al quorum
VENEZIA Piccoli. A volte talmente piccoli che fare il sindaco diventa un’incombenza difficile da gestire e in pochi hanno voglia di farlo. In 17 Comuni fra quelli che oggi si presentano all’insindacabile giudizio degli elettori c’è un solo candidato che lotta contro il quorum per evitare l’arrivo di un commissario perché non ha trovato sfidanti (o in un caso, come a Santa Lucia di Piave, la seconda lista è stata esclusa per non conformità). In altri Comuni, come da prassi proprio per scongiurare il rischio del commissariamento, sono spuntate all’ultimo minuto liste civetta, e il doppio candidato toglie la pentola dal fuoco. Rivamonte Agordino ha 625 abitanti ed è il più minuscolo di questa lista tutta veneta di disaffezione alla fascia tricolore, ma poi ci sono Tambre, Granze, Sant’Urbano e Segusino (sotto i 3 mila abitanti); Cesiomaggiore, Fonzaso, Veggiano, Lusia, Pramaggiore, Casaleone, Gazzo, Illasi e San Giovanni Ilarione (sotto i 6 mila); chiudono Brendola, con seimila abitanti e Santa Lucia, 9 mila. Amministrare, coi chiari di luna degli ultimi anni, significa sacrificare tempo a famiglia e lavoro per indennità irrisorie e fatiche inevitabili.
O meglio. C’è una soluzione sulla quale Regione e Ministero insistono, ma pare che piaccia poco: la fusione fra Comuni. Sono 14 fino ad ora gli enti nati dall’accorpamento di due o più municipi (il record è a Vicenza con 5) ma su 29 referendum promossi da inizio Duemila 15 sono stati respinti. Il popolo ha detto no. Ha vinto il campanile.
«Nei nostri territori ci sono identità molto forti, che comprendo bene – commenta l’assessore al bilancio e agli enti locali Francesco Calzavara – ma che non si riescano a trovare due figure che instaurino un confronto è la dimostrazione che alcuni Comuni sono poco più di un condominio. In certi casi è doveroso mettersi insieme per garantire i servizi ai cittadini e ridare dignità al ruolo del sindaco, che a volte passa le giornate a fare le carte d’identità». E anche i dati della fondazione Think Tank Nord Est mostrano che, a tutti gli effetti, l’utilità della fusione c’è. Il ministero dell’Interno ha stanziato una nuova tranche di contributi destinati alle fusioni dei Comuni e in Veneto stanno per arrivare 11 milioni di euro; dal 2014 ad oggi ne sono arrivati 54. A Borgo Valbelluna (Mel, Trichiana e Lentiai, nato nel 2019) sono stati assegnati 1,9 milioni di euro, 1,2 a Longarone e Alpago, poco meno di un milione a Borgo Veneto (Padova) e Valbrenta (Vicenza). Nonostante questi dati favorevoli, l’ostilità rimane. La Regione Veneto sta lavorando al nuovo piano di riordino degli enti territoriali, con l’obiettivo di chiuderlo entro il 2022, incontrando gli amministratori per spiegare le opportunità di unirsi in Ipa o unioni. E, perché no, fusioni, accantonando i campanilismi.
«Su 563 Comuni veneti, metà sono sotto la soglia dei 5 mila e il 23 per cento sotto i 3.500 abitanti - sottolinea Calzavara -. In alcune zone, penso alla montagna e al Rodigino, emergono 180 realtà che potrebbero avere il bisogno di arrivare a una fusione. Sotto certi livelli si rischia di generare cittadini serie A e di serie B. La riflessione oggi è ancor più necessaria. Non solo per la questione economica». (s.ma.)