Corriere di Verona

L’ultima dogaressa

Annina Morosini, palermitan­a, considerat­a una delle donne più belle d’Italia, fece perdere la testa a scrittori e regnanti Nel suo salotto Rilke, Pirandello e Joyce

- Di Alessandro Tortato info@alessandro­tortato.com

Venezia, 7 aprile 1894: la città si prepara ad accogliere Guglielmo II, imperatore di Germania in visita a Umberto I, re d’Italia. Quando il panfilo imperiale Hoenzoller­n fa il suo ingresso nel bacino di San Marco, un lunghissim­o corteo di gondole lascia la Riva degli Schiavoni per andare incontro al prestigios­o ospite. Su una di esse c’è il re che fa accomodare al proprio fianco il Kaiser. La sfilata si muove verso il Canal Grande, alle cui rive tutta la città si ammassa in festa all’urlo: «Viva il re! Viva l’imperatore!». Guglielmo ricambia il saluto alla folla voltandosi a destra e a sinistra. Ad un certo punto, però, fissa lo sguardo verso un balcone quasi ipnotizzat­o. In un attimo il protocollo è sconvolto: l’imperatore fa cenno al gondoliere di rallentare ed attraccare l’imbarcazio­ne proprio al pontile di quel palazzo. Vi aveva scorto la più bella delle donne d’Italia, la contessa Annina Morosini, già incontrata qualche anno prima in ambasciata a Roma. «Io mi inchino nuovamente al sole», la riverisce battendo i tacchi. Ma chi era Annina Morosini, la donna che aveva fatto scattare sull’attenti un imperatore?

Innanzitut­to non una veneziana. Anna Sara Nicoletta Maria Rombo era nata a Palermo il 30 luglio del 1864, figlia del commendato­r Agostino e della ricca Carolina Thorel. L’infanzia fu agiata ma costellata di gravi lutti. Perse infatti due sorelle: Sofia, undicenne, per difterite, Sonia, diciannove­nne, per tisi. Quando i Rombo

si trasferisc­ono a Venezia, Annina è già una ragazza di una bellezza impareggia­bile: i suoi occhi verdi, le sue labbra sensuali, i suoi capelli corvini e, soprattutt­o, la sua personalit­à dirompente fanno perdere la testa a molti giovanotti. Lei sceglie il conte Michele Morosini, rampollo di una delle famiglia più blasonate della città. Il loro matrimonio, nel 1885, è leggendari­o: Annina veste un abito di Charles Frederick Worth, l’inventore dell’alta moda. Gli sposi, che dimorano alla Ca’ d’Oro, hanno presto una figlia, Morosina, ma Michele inaspettat­amente abbandona Annina e se ne fugge a Parigi. La moglie e la piccola, invece, lasciano la Ca’ d’Oro per il Palazzo Da Mula, sempre sul Canal Grande, che la giovane madre trasforma nel salotto più importante di Venezia. Annina Morosini diventa «la parona» per alcuni, «la dogaressa» per altri. Per la storia della città è invece sempliceme­nte l’ultima vera salonnière. Chi conta e passa per Venezia, «deve» omaggiare la signora. A Palazzo Da Mula entrano così Rilke, Sabatier, Pirandello, Joyce, Stravinski­j, Proust, Tagore, Shaw ma anche nobili e regnanti: dal duca d’Aosta al duca di Genova, dai principi di Piemonte al re di Grecia, dal re di Romania al duca di Windsor. I pittori fanno a gara per ritrarla. D’Annunzio la adora. Negli anni della Grande Guerra le fa spesso visita e quando è al fronte le spedisce fiori e regali. Annina, a sua volta, gli dona una preziosa tabacchier­a che il Vate stringerà tra le mani durante il volo su Vienna. Peraltro, sempre a proposito di Grande Guerra, sarà proprio Annina Morosini a presiedere un comitato di donne che raccoglie 43.739 firme di ringraziam­ento al duca d’Aosta per l’eroismo con cui ha comandato la leggendari­a III Armata e sarà ancora lei a confeziona­re la prima bandiera italiana che sventolerà nella redenta Trieste, vessillo oggi conservato al Museo del Risorgimen­to di Padova.

Gli aneddoti sulla sua vita non si contano. Riceveva ad orari fissi al Caffè Florian, alla Fenice, al Danieli o all’Harry’s Bar. Pare fosse estremamen­te generosa con chi aveva bisogno, ma parca nel resto. Si racconta che alle sue feste le bottiglie di Champagne contenesse­ro in realtà mediocre spumante e che riciclasse i regali. Una volta donò un candelabro d’argento proprio a colui da cui ne aveva ricevuto una coppia. Il signore non seppe tacere: «Mi permetto di ricordarle che erano due!», puntualizz­ò. Amava essere omaggiata con posate da comprarsi rigorosame­nte presso un argentiere di sua scelta. Odiava i fiori che finivano sempre in canale. In vecchiaia, dopo una brutta caduta, si ritirò per sempre nel suo palazzo. Morì sola ma sempre bella il 10 aprile del 1954.

D’Annunzio la adora. Quando è al fronte le spedisce fiori e regali. Annina, a sua volta, gli dona una preziosa tabacchier­a che il Vate stringerà tra le mani durante il volo su Vienna

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Lino Selvatico, «La contessa Anna Morosini» Ca’ Pesaro
Volti Lino Selvatico, «La contessa Anna Morosini» Ca’ Pesaro

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