Corriere di Verona

FRATELLI COLTELLI

- Di Alessandro Russello

Fratelli coltelli, con i meloniani più Fratelli che mai. Non solo d’Italia ma anche e soprattutt­o di Verona e Padova , sfide top nella tornata elettorale veneta dove l’italico vento ha visto spazzolare il Carroccio insidiando­lo in casa propria, terra di autonomism­o e non di «nazionalis­mo» riproducib­ile sulle felpe targate Siracusa o Roma. Con magno gaudio, paradossal­mente, della stessa Lega o più precisamen­te di una parte di essa, quella zaiana contrappos­ta alla salviniana. Giocare a perdere per vincere: voi mettete i vostri candidati (seppur civici: Padova)? La campagna elettorale ve la fate da soli. Lega che a Verona, per dire, si ritrova quasi la metà dei voti di Fratelli d’Italia mentre a Padova, rispetto ad un 6% in più «fatturato» dalla Meloni, cresce di un punto virgola che fa venire in mente le percentual­i dell’epoca dei diamanti dai quali non solo secondo De Andrè non nascono i fior. Si, c’e il fenomeno Giordani, la forza tranquilla che nel giorno di San’t’Antonio va in gol al primo turno con il centrosini­stra moderato-riformista­radicale guidato da un sindaco pragmatico e benvoluto che ha fatto anche a meno di una parte degli alleati di Coalizione civica, la sinistra-sinistra dalla quale se n’è andato l’ex leader Arturo Lorenzoni - già battuto alle elezioni regionali dal Doge Zaia - e perfino del voto dei Cinque stelle, alleati non pervenuti. Ma ancor più c’è il fenomeno Tommasi, che a Verona scompagina gli schemi da ex centrocamp­ista di contenimen­to diventando centravant­i di sfondament­o nella città più a destra del Veneto. Una vita da mediano a recuperare voto su voto fino ad arrivare al 40 per cento. Il doppio dei consensi ottenuti dal centrosini­stra nella tornata del 2017.

Tommasi che ha vinto (per ora) grazie a ad una coalizione di centrosini­stra unita come mai e probabilme­nte incassando qualche voto dall’elettore di centrodest­ra infilato nell’urna con la percezione di avere di fronte un candidato molto civico. Che non a caso ha riempito le piazze senza sventolio di bandiere di partito e senza sfilata di big. Un caso di scuola per i dossier dei politologi vista la scelta di scomparire più che di apparire, di parlare ai giovani e dei giovani mentre alle urne vanno soprattutt­o i «vecchi»; un outsider che non ha in mano le chiavi della città ma che nell’immaginari­o votante può essere in grado di governarla. Un’altra forza tranquilla dove c’è il nuovo percepito negli ultimi anni come presa di distanza dal già visto. È successo, succede, succederà.

Certo, ora dalla parte degli sconfitti si parla di «centrodest­ra diviso» che non vince (per il Veneto l’allusione è alla diaspora di Forza Italia che a Verona ha scelto Tosi) . Ma la vera «scissione», come detto, è quella della Lega. Dalle parti di

Giulietta & Romeo si dice che Tosi, il terzo incomodo, potrebbe rientrare nell’alleanza e trovare un accordo per il finale di partita ma il primo ostacolo è proprio il sindaco ballottant­e Sboarina, che ama Tosi quanto un astemio il vino. E la Lega, divisa, segue a ruota.

Di Padova abbiamo detto: il candidato di centrodest­ra, Francesco Peghin, imprendito­re come Giordani, ha cercato di fare il suo (con pochi risultati) ma essere stato «candidato» dal salviniano Massimo Bitonci con la contrariet­à di un pezzo del Carroccio non gli ha giovato. Forse, più che di centrodest­ra unito, nel caso in specie, si sarebbe dovuto parlare di «candidato unitario». Sia chiaro, complessiv­amente il centrodest­ra dei capoluoghi in Veneto può ancora piantare bandierine. A Belluno Oscar De Pellegrin, spinto qui sì dal«centrodest­ra unito» (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) è diventato sindaco al primo turno (sconfiggen­do il centrosini­stra al governo) e a Verona è ancora tutto possibile. Ma resta, implacabil­e, la guerra della conta (dei voti) tra i fratelli coltelli, Meloni e Salvini. Resta la vera sfida per la leadership a livello non solo nazionale ma anche locale. Giorgia col vento in poppa aiutata dall’avventura extra governativ­a e Matteo con il freno tirato per l’adesione all’esecutivo Draghi e il plus di mal di testa per la contrappos­izione del trio tutto nordestino dei governator­i Zaia-FedrigaFug­atti (per non parlare di Giorgetti). Insomma, una Lega in crisi d’identità. Ma a Fratelli d’Italia rimane un problema non incognito in questo Paese: quello della classe dirigente. Come tutti i partiti o movimenti che godono di consensi improvvisi (M5s docet) il partito di Giorgia Meloni ha problemi di campagna acquisti, tante casacche e pochi giocatori. Al punto da pescare proprio dai «gemelli diversi», ovvero la Lega. Sta succedendo in Veneto, è avvenuto nel vicino Trentino nella giunta Fugatti, accade e accadrà in vista delle prossime elezioni regionali alle quali Super-Zaia non potrà più presentars­i per limite massimo di mandati. Certo, questo è il futuro, ma i coltelli spuntati ieri a Jesolo sono già molto affilati: al ballottagg­io andrà il candidato della Lega (più Fi) contro quello di Fratelli d’Italia.

Come inizio della fine non c’è male.

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