FRATELLI COLTELLI
Fratelli coltelli, con i meloniani più Fratelli che mai. Non solo d’Italia ma anche e soprattutto di Verona e Padova , sfide top nella tornata elettorale veneta dove l’italico vento ha visto spazzolare il Carroccio insidiandolo in casa propria, terra di autonomismo e non di «nazionalismo» riproducibile sulle felpe targate Siracusa o Roma. Con magno gaudio, paradossalmente, della stessa Lega o più precisamente di una parte di essa, quella zaiana contrapposta alla salviniana. Giocare a perdere per vincere: voi mettete i vostri candidati (seppur civici: Padova)? La campagna elettorale ve la fate da soli. Lega che a Verona, per dire, si ritrova quasi la metà dei voti di Fratelli d’Italia mentre a Padova, rispetto ad un 6% in più «fatturato» dalla Meloni, cresce di un punto virgola che fa venire in mente le percentuali dell’epoca dei diamanti dai quali non solo secondo De Andrè non nascono i fior. Si, c’e il fenomeno Giordani, la forza tranquilla che nel giorno di San’t’Antonio va in gol al primo turno con il centrosinistra moderato-riformistaradicale guidato da un sindaco pragmatico e benvoluto che ha fatto anche a meno di una parte degli alleati di Coalizione civica, la sinistra-sinistra dalla quale se n’è andato l’ex leader Arturo Lorenzoni - già battuto alle elezioni regionali dal Doge Zaia - e perfino del voto dei Cinque stelle, alleati non pervenuti. Ma ancor più c’è il fenomeno Tommasi, che a Verona scompagina gli schemi da ex centrocampista di contenimento diventando centravanti di sfondamento nella città più a destra del Veneto. Una vita da mediano a recuperare voto su voto fino ad arrivare al 40 per cento. Il doppio dei consensi ottenuti dal centrosinistra nella tornata del 2017.
Tommasi che ha vinto (per ora) grazie a ad una coalizione di centrosinistra unita come mai e probabilmente incassando qualche voto dall’elettore di centrodestra infilato nell’urna con la percezione di avere di fronte un candidato molto civico. Che non a caso ha riempito le piazze senza sventolio di bandiere di partito e senza sfilata di big. Un caso di scuola per i dossier dei politologi vista la scelta di scomparire più che di apparire, di parlare ai giovani e dei giovani mentre alle urne vanno soprattutto i «vecchi»; un outsider che non ha in mano le chiavi della città ma che nell’immaginario votante può essere in grado di governarla. Un’altra forza tranquilla dove c’è il nuovo percepito negli ultimi anni come presa di distanza dal già visto. È successo, succede, succederà.
Certo, ora dalla parte degli sconfitti si parla di «centrodestra diviso» che non vince (per il Veneto l’allusione è alla diaspora di Forza Italia che a Verona ha scelto Tosi) . Ma la vera «scissione», come detto, è quella della Lega. Dalle parti di
Giulietta & Romeo si dice che Tosi, il terzo incomodo, potrebbe rientrare nell’alleanza e trovare un accordo per il finale di partita ma il primo ostacolo è proprio il sindaco ballottante Sboarina, che ama Tosi quanto un astemio il vino. E la Lega, divisa, segue a ruota.
Di Padova abbiamo detto: il candidato di centrodestra, Francesco Peghin, imprenditore come Giordani, ha cercato di fare il suo (con pochi risultati) ma essere stato «candidato» dal salviniano Massimo Bitonci con la contrarietà di un pezzo del Carroccio non gli ha giovato. Forse, più che di centrodestra unito, nel caso in specie, si sarebbe dovuto parlare di «candidato unitario». Sia chiaro, complessivamente il centrodestra dei capoluoghi in Veneto può ancora piantare bandierine. A Belluno Oscar De Pellegrin, spinto qui sì dal«centrodestra unito» (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia) è diventato sindaco al primo turno (sconfiggendo il centrosinistra al governo) e a Verona è ancora tutto possibile. Ma resta, implacabile, la guerra della conta (dei voti) tra i fratelli coltelli, Meloni e Salvini. Resta la vera sfida per la leadership a livello non solo nazionale ma anche locale. Giorgia col vento in poppa aiutata dall’avventura extra governativa e Matteo con il freno tirato per l’adesione all’esecutivo Draghi e il plus di mal di testa per la contrapposizione del trio tutto nordestino dei governatori Zaia-FedrigaFugatti (per non parlare di Giorgetti). Insomma, una Lega in crisi d’identità. Ma a Fratelli d’Italia rimane un problema non incognito in questo Paese: quello della classe dirigente. Come tutti i partiti o movimenti che godono di consensi improvvisi (M5s docet) il partito di Giorgia Meloni ha problemi di campagna acquisti, tante casacche e pochi giocatori. Al punto da pescare proprio dai «gemelli diversi», ovvero la Lega. Sta succedendo in Veneto, è avvenuto nel vicino Trentino nella giunta Fugatti, accade e accadrà in vista delle prossime elezioni regionali alle quali Super-Zaia non potrà più presentarsi per limite massimo di mandati. Certo, questo è il futuro, ma i coltelli spuntati ieri a Jesolo sono già molto affilati: al ballottaggio andrà il candidato della Lega (più Fi) contro quello di Fratelli d’Italia.
Come inizio della fine non c’è male.