Corriere di Verona

Impalpabil­e il Grande centro E tramontano le Cinque Stelle

- Di Martina Zambon

Un fantasma si aggira per il Veneto. Quel Grande Centro a geometria variabile che ha sostenuto, a macchia di leopardo, candidati di centrodest­ra e di centrosini­stra con alterne fortune. Il caso più emblematic­o si lega al nome del «guastafest­e» Flavio Tosi che ha messo i bastoni fra le ruote al centrodest­ra scaligero diventando, forse magra consolazio­ne, ago della bilancia per il ballottagg­io fra Damiano Tommasi per il centrosini­stra e l’uscente Federico Sboarina per il centrodest­ra. A una lettura superficia­le verrebbe naturale pensare a un appoggio a quest’ultimo per il ballottagg­io ma, appunto, Tosi non è solo Tosi. Insieme a lui, in questa tornata elettorale, si contano anche Forza Italia e Italia Viva, oltre a numerose civiche. «Vogliamo valutare prima di decidere il da farsi, aspettando anche quello che diranno i candidati» ha detto, laconico, Tosi. tante le variabili. Il 40% di Tommasi si basa su un elettorato galvanizza­to che non mancherà di tornare alle urne prevedono gli esperti. Diverso il discorso per Sboarina che parte pericolosa­mente basso, intorno al 32%. Ed è qui che Tosi, metafora di un centro, appunto, alla ricerca di una collocazio­ne stabile, entra pesantemen­te in gioco. A caldo Tommasi ha parlato, prevedibil­mente di «aperture» in base «ai nostri valori». Tosi, da parte sua, ha già annunciato che di accordi clandestin­i non si parla ma che, al limite si può ragionare su un apparentam­ento. Con chi? Difficile che Sboarina possa concedere molto dato il patto di sangue con la Lega per cinque assessori, il vicesindac­o e il timone della Fiera, già ceduto, al plenipoten­ziario del Carroccio Federico Bricolo (con polemiche annesse). Ci penseranno gli sherpa. Al netto del groviglio dei negoziati veronesi, però, restano i numeri, unica moneta corrente in politica. Vediamoli. Per restare al caso veronese, FI non arriva al 5%. Ma, del resto, la Lega (e questo numero brucia tantissimo) sfora di poco il 6 tallonata da Coraggio Italia di Brugnaro. Se FI tenta di risollevar­si dall’oblio degli ultimi anni, il partito fondato dal sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, non pare sfondare oltre i confini della città

metropolit­ana di Venezia. L’assalto a Mira, roccaforte rossa dopo una breve parentesi grillina, totalizza un più che dignitoso 15% abbondante mentre Lega e FdI si fermano poco sopra l’8. Nella vicina Mirano, però, i fucsia di Brugnaro scendono sotto l’8%. Sempre a Mirano, FdI distanzia il Carroccio pare a scapito anche di CI. La vera soddisfazi­one arriva da Santa Maria di Sala che ha la prima sindaca fucsia. Numeri comunque piccoli quelli del «Grande centro wannabe» (aspirante tale ndr), come piccolissi­mi sono quelli di partiti come +Europa (a Verona si ferma all’1,3%, Calenda con Azione addirittur­a all’1,04%). Eppure nel resto d’Italia va diversamen­te. Proprio l’accoppiata +Europa/Azione, nelle quattro città in cui è presente un candidato proprio, può festeggiar­e l’exploit. A Palermo Fabrizio Ferrandell­i è dato al 14,8%. A L’Aquila Americo Di Benedetto potrebbe arrivare secondo col 23,9%. Fantascien­za vista dal Veneto dell’uno virgola in cui spadronegg­ia ancora la Lega, cresce parecchio FdI e il Pd comincia a credere in tempi meno bui. Un navigante di lungo corso come il senatore patavino dell’Udc Antonio De Poli immagina un futuro più pragmatico rispetto al vulcanico Calenda che sogna un centro da 10% «contro i populisti». «Mi sembra chiaro che da questo primo turno alle elezioni comunali, - ragiona De Poli, inossidabi­le erede di quel Veneto bianco che non è mai morto - emerge un quadro abbastanza chiaro: il centrodest­ra vince quando fa squadra, quando punta sull’unità e sulla pluralità. Dobbiamo rafforzare la coalizione ripartendo dall’area politica di Centro». Ecco, ripartendo dal centro. Oscillano le città venete, oscillerà un po’ di

Flavio Tosi

Vogliamo valutare prima di decidere il da farsi, aspettando anche quello che diranno i candidati

più, forse, la Regione con il tramonto dell’era Zaia, ma il Veneto bianco sembra alle prese con una questione di conciliazi­one interiore e storica: il centro ha ancora uno spazio vitale qui? Chi, di certo, è ridotto al lumicino, è il Movimento Cinque Stelle. Ieri è caduta l’ultima bandiera, quella della piccola Sarego, nel Vicentino. Flavio Zambon, assessore ed erede dell’amato primo sindaco grillino d’Italia, Roberto Castiglion si è fermato al 34%, staccato di quasi 13 punti rispetto alla neo sindaca Jessica Giacomello. L’incanto dei meet up d’antan si è definitiva­mente spezzato. A Padova, dove il Movimento è riuscito a presentare una propria lista (a sostegno di Sergio Giordani) con un nuovo logo che recita «Movimento 2050»), si è arrivati a un misero 1,2%, il peggior risultato dopo ben 5 civiche ed Europa Verde. Un de profundis che risuona, lugubre, anche a Mirano, nel Veneziano, unico comune ad avere in Veneto un candidato sindaco: Marco Lazzarin si è fermato sotto il 4%. Un risultato tutto sommato eroico sulle macerie della breve rivoluzion­e anti-sistema.

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Il senatore padovano dell’Udc Antonio De Poli
Centrista Il senatore padovano dell’Udc Antonio De Poli
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