«Ho lasciato il mio cuore in Yemen»
I viaggi in barca a vela nei Caraibi, il lavoro di restauratrice: «Senti un passato che si fa presente» L’esperienza vissuta a Sana’a: «Città antichissima, in un paese stupendo martoriato dalla guerra»
Dalla chiesa di San Bartolomeo a Perzacco di Zevio al restauro di Porta Nuova a Verona passando per la moschea di Sana’a nello Yemen. Mettici che ad un certo punto della sua vita per schiarirsi le idee se ne’è andata in barca a vela per i mari dei Caraibi, e quella di Maria Chiara Cordioli, o meglio Chiara, professione restauratrice, è la storia di una donna che il destino se lo è andata a prendere con gli scalpellini nello zaino. Donna libera e coraggiosa, perché sono le scelte difficili che ti permettono di fare quello che ti va di fare.
Papà mediatore di automobili, mamma casalinga, Chiara nasce a Villafranca dove resta fino all’età di dieci anni: «A metà degli anni Sessanta ci trasferimmo a Verona agli Orti di Spagna, ricordi bellissimi di una Verona autentica in un quartiere dove ci si conosceva tutti». Dopo le scuole medie alle Dante Alighieri, frequenta l’Istituto d’Arte Nani in via San Nazaro, sezione tessitura e stampa su tessuti. Col diploma, Como, la città delle seterie, è il suo primo approdo: «Disegnavo bozzetti su tessuti: il primo impatto con la città fu terrificante, poi cominciai ad ambientarmi». Ci rimane undici anni, nel 1983 torna a Verona, ma cambia aria prendendo la rotta dell’Egeo per Rodi: «Feci amicizia con dei velisti italiani, che organizzavano charter in barca a vela in Grecia d’estate e ai Caraibi d’inverno. Salpammo dalla Liguria e raggiungemmo la Martinica: loro portavano in giro i turisti, io rimanevo a terra a prendermi cura della figlia di una mia amica». Al rientro a Verona lavora come scenografa teatrale, ma anche per negozi e case private, poi la svolta: «Iniziai a collaborare, come scenografa, con un gruppo di restauratori prima al chiostro di San Fermo e quindi alla chiesa di San Domenico; il restauro mi piaceva, così nel 2001 feci la mia scelta e decisi di dedicarmici». Il primo lavoro di un certo rilievo, nel 2004, è alla chiesa di San Bartolomeo a Perzacco di Zevio, poi ne vengono altri, restauri lapidei e di affreschi nei palazzi storici del centro di Verona.
Il 2014 rappresenta uno snodo fondamentale nella vita di Chiara: «Come volontaria dell’Istituto Veneto di Restauro di Venezia partii per lo Yemen, un paese meraviglioso che da tempo desideravo di visitare. Il progetto consisteva nel restauro dei soffitti lignei della moschea di San’a, città antichissima con palazzi che sembrano merletti e le finestre di alabastro. Un incanto. Io lavoravo al restauro lapideo di uno dei due minareti della moschea. Vivevamo in una casa-torre, la situazione era già tesa, potevamo uscire solo accompagnati e ci muovevamo sotto scorta. Lo Yemen era una base di Al-Qaida e il rischio di rapimenti era alto. Nel 2015 vidi l’inizio dei bombardamenti e quando lavorare divenne impossibile ce ne dopo vemmo andare. È un dolore vedere in che stato versa oggi lo Yemen, un paese povero e senza risorse, martoriato da una guerra dimenticata che non interessa a nessuno. Il mio cuore l’ho lasciato lì». Una volta a Verona è nella squadra che si prende cura di Corte Vo’ Pindemonte a Isola della Scala, in città lavora alla Seconda Torricella Massimiliana e nel dicembre del 2019 al restauro di Porta Nuova: «Una bellissima esperienza, tosta perché stando in copertura, d’inverno faceva un freddo cane e d’estate crepavi dal caldo. Ci fermammo due mesi per l’arrivo della pandemia, terminammo nel 2021. Aver contribuito a restituirla alla città, è stata una soddisfazione».
Lo scorso anno Chiara ha lavorato come calognese
«Tipi veronesi» è una proposta domenicale del Corriere di Verona che intende raccontare, attraverso la storia di personaggi più o meno famosi, l’evolversi della nostra città. Uno sguardo al passato rivolto al futuro affidato alla penna del nostro collaboratore Lorenzo Fabiano. Per eventuali segnalazioni scrivere a corrierediverona@corriereveneto.it o lorenzo. fabiano@me.com cantiere al restauro delle facciate di Villa Carrara a Grezzana; in questi mesi, in qualità di assistente tecnico ha seguito i lavori di restauro al Palazzo Ina di Rovigo, edificio degli anni Trenta di oltre 3000 metri quadrati. Ama il suo lavoro, e profondamente: «Mi piacciono tanti aspetti, dalla scelta dei materiali che devono essere supernaturali e compatibili, alle modalità tecniche per una buona esecuzione, fino alla soddisfazione di ricevere l’approvazione della Sovrintendenza. Ma il piacere più grande è un altro, che poi rappresenta l’anima di questo lavoro: ogni restauro è una scoperta si illumina - , quando sotto un intonaco affiora un affresco senti un passato tornare presente, una civiltà che rinasce». Con Chiara chiacchieriamo in una caffetteria del centro storico, nel cuore del rione Carega: al tavolino a fianco un distinto signore dalla barba canuta ascolta e interviene: «Scusate se mi permetto, io direi così: il restauro mette in evidenza quello che non c’è ma c’è». Applausi, a scena aperta.
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