Corriere di Verona

«Bpvi, deluso da Banca d’Italia e sorpreso dal livello di omertà»

Monorchio: «Zonin non sapeva delle baciate». E Marin condivide la linea di Giustini

- Di Federico Nicoletti

VENEZIA Le parole più dure sono per Banca d’Italia: «Sono deluso da un trattament­o superficia­le. Mi sento completame­nte non responsabi­le». E poi quella che per lui è stata la cosa più sorprenden­te, nella crisi di Banca popolare di Vicenza, tra «baciate» e lettere d’impegno: «Non pensavo ci potesse essere in una banca un simile livello di omertà, che si nascondess­ero le cose». Quella di Andrea Monorchio, «funzionari­o dello Stato per 45 anni e ragioniere generale per 13, cambiando nove governi», come si descrive lui con orgoglio al banco dei testimoni, era la deposizion­e più attesa, ieri, al processo d’appello per il crac Bpvi: è la prima volta che testimonia un membro del cda. Ed è andata avanti lungo la linea, per certi versi disarmante, doppiata poi nel pomeriggio dall’altro vice, Marino Breganze, di un cda ignaro di cosa si stesse consumando in Bpvi, e che approvava quel che veniva messo sul tavolo, fidandosi che tutto fosse a posto e senza che balenasse un qualche dubbio.

Un quadro interrotto solo dal prologo delle dichiarazi­oni spontanee di Paolo Marin, l’ex capo della divisione crediti che da imputato parla per un quarto d’ora. Dice di «condivider­e» le dichiarazi­oni del vicedirett­ore Emanuele Giustini, il fatto nuovo del processo d’appello, con l’accusa che l’ex presidente Gianni Zonin sapesse tutto e fosse il vero amministra­tore delegato della banca: è «quanto avevo già detto io nel mio interrogat­orio in primo grado», dice Marin. E aggiunge che il compito della divisione crediti si fermava «al presidio della qualità del credito», mentre l’erogazione arrivava da filiali e controllat­e: impossibil­e monitorare e quantifica­re le «baciate». E chiude con alcune specificas­enso zioni su dichiarazi­oni e mail degli ispettori Bankitalia: mostrerebb­ero che nell’ispezione 2012 avevano capito di avere avuto tra le mani i finanziame­nti correlati.

Poi la scena va a Monorchio. Nel giorno del suo 83 esimo compleanno, l’ex vicepresid­ente Bpvi arriva a mezzogiorn­o, accolto da Zonin, avvocati e funzionari alla sbarra, in un clima quasi da rimpatriat­a. Parla per due ore, Monorchio, convocato dalla difesa di Zonin per confutare Giustini. Con il difensore dell’ex presidente, Enrico Ambrosetti, scatta un ping-pong di domande e risposte rapide. Baciate: «No, non ho avuto consapevol­ezza e le correlazio­ni non erano desumibili dalle schede finanziame­nti». Si è mai imbattuto in qualcuno che gliene avesse parlato? «Non potevo: la mia vita era a Roma, arrivavo a Vicenza per i cda in treno e ripartivo. Non conoscevo nessuno». Ma Sorato e Giustini non gliene parlarono mai? «No, mai. Lo escludo in assoluto. Mi fidavo di quello che dicevano i funzionari. Nella mia lunga carriera non ne ho mai dubitato». E gli organi di controllo? «Dopo l’ispezione di Banca d’Italia del 2012 riferirono in consiglio che c’erano rilievi ma non sanzioni. In cda ero seduto vicino a Vittorio Domenichel­li. Mi disse: ‘Sono molto soddisfatt­o. il capo degli ispettori mi ha detto che non ha mai trovato una banca ben organizzat­a come la nostra nei controlli’».

La chiosa è granitica: «Fino al 2015 non ho mai dubitato che la banca fosse condotta correttame­nte. E tutto andava in Banca d’Italia. Tutto». Alla fine, diventa via Nazionale il bersaglio di Monorchio, anche lui multato. Tutto scatta da una domanda del presidente della corte, Francesco Giuliano, che chiede di un lapsus minimo di Monorchio, che dice «ho, anzi avevo fiducia» in Banca d’Italia: «Mi ha deluso», replica l’ex ragioniere generale. «Ci considerav­ano soggetto aggregante nel 2014 e ci telefonava­no per farci acquistare Etruria, Cariferrar­a e Marostica.

Ma come fai a farlo, se non hai contezza della solidità patrimonia­le di una banca? Delusione: per anni ho lavorato bene con loro, con l’allora governator­e Ciampi. Ho visto un trattament­o superficia­le».

Poi l’ultimo rilievo, sull’omertà in Bpvi: «È stata una situazione imbarazzan­te. Come si può pretendere che sappia di 64 lettere di riacquisto azioni? Dovevo guardare nei computer? Mi ha profondame­nte travagliat­o. Esser accusato di culpa in vigilando mi ha dato molto fastidio. Anche per i miei figli». Resta la domanda: ma Zonin sapeva delle baciate? «Per quello che posso dire io non ho mai avuto un’indicazion­e che sapesse - replica Monorchio a margine, fuori dall’aula -. Direi una calunnia».

Lettura della vita in Bpvi vista dal cda che si ritrova, in modo ancora più disarmante, nella deposizion­e di Breganze. Consiglier­e per oltre trent’anni, vicepresid­ente con Zonin per 16 e presidente di Banca Nuova. Le sue funzioni? «Di rappresent­anza. Di serie B: quelle di serie A, - strategie, rapporti con le autorità, iniziative di beneficien­za e culturali - erano sue. Per le cose secondarie, e i contributi erano tantissimi, dove bisognava esser presenti, andavo io. In Sicilia, poi, alla presenza tenevano tantissimo. Da professore universita­rio potevo parlare anche senza che preparasse­ro i discorsi».

Per lui il comitato soci doveva limitarsi a controllar­e l’onorabilit­à dei candidati e sulla compravend­ita delle azioni non ci furono problemi se non all’ultimo. E con Zonin parlo mai di «baciate», gli chiede Ambrosetti. «No nella maniera più assoluta». Con un dubbio finale, nella domanda del legale di Banca d’Italia, Stefania Ceci: «Ma al di là di quello che vi dicevano, avete mai controllat­o?». «Non competeva a noi - è la replica -, toccava agli uffici». «Ma gli uffici, professor Breganze, chi li controlla? è la stoccata finale di Ceci - Gli uffici stessi?».

Breganze La mia era una funzione di rappresent­anza di serie B: quella di serie A toccava a Zonin

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 ?? ?? In aula Andrea Monorchio, mentre risponde alle domande del difensore di Zonin, Enrico Ambrosetti. Sotto: le dichiarazi­oni di Marin
In aula Andrea Monorchio, mentre risponde alle domande del difensore di Zonin, Enrico Ambrosetti. Sotto: le dichiarazi­oni di Marin

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