«Bpvi, deluso da Banca d’Italia e sorpreso dal livello di omertà»
Monorchio: «Zonin non sapeva delle baciate». E Marin condivide la linea di Giustini
VENEZIA Le parole più dure sono per Banca d’Italia: «Sono deluso da un trattamento superficiale. Mi sento completamente non responsabile». E poi quella che per lui è stata la cosa più sorprendente, nella crisi di Banca popolare di Vicenza, tra «baciate» e lettere d’impegno: «Non pensavo ci potesse essere in una banca un simile livello di omertà, che si nascondessero le cose». Quella di Andrea Monorchio, «funzionario dello Stato per 45 anni e ragioniere generale per 13, cambiando nove governi», come si descrive lui con orgoglio al banco dei testimoni, era la deposizione più attesa, ieri, al processo d’appello per il crac Bpvi: è la prima volta che testimonia un membro del cda. Ed è andata avanti lungo la linea, per certi versi disarmante, doppiata poi nel pomeriggio dall’altro vice, Marino Breganze, di un cda ignaro di cosa si stesse consumando in Bpvi, e che approvava quel che veniva messo sul tavolo, fidandosi che tutto fosse a posto e senza che balenasse un qualche dubbio.
Un quadro interrotto solo dal prologo delle dichiarazioni spontanee di Paolo Marin, l’ex capo della divisione crediti che da imputato parla per un quarto d’ora. Dice di «condividere» le dichiarazioni del vicedirettore Emanuele Giustini, il fatto nuovo del processo d’appello, con l’accusa che l’ex presidente Gianni Zonin sapesse tutto e fosse il vero amministratore delegato della banca: è «quanto avevo già detto io nel mio interrogatorio in primo grado», dice Marin. E aggiunge che il compito della divisione crediti si fermava «al presidio della qualità del credito», mentre l’erogazione arrivava da filiali e controllate: impossibile monitorare e quantificare le «baciate». E chiude con alcune specificasenso zioni su dichiarazioni e mail degli ispettori Bankitalia: mostrerebbero che nell’ispezione 2012 avevano capito di avere avuto tra le mani i finanziamenti correlati.
Poi la scena va a Monorchio. Nel giorno del suo 83 esimo compleanno, l’ex vicepresidente Bpvi arriva a mezzogiorno, accolto da Zonin, avvocati e funzionari alla sbarra, in un clima quasi da rimpatriata. Parla per due ore, Monorchio, convocato dalla difesa di Zonin per confutare Giustini. Con il difensore dell’ex presidente, Enrico Ambrosetti, scatta un ping-pong di domande e risposte rapide. Baciate: «No, non ho avuto consapevolezza e le correlazioni non erano desumibili dalle schede finanziamenti». Si è mai imbattuto in qualcuno che gliene avesse parlato? «Non potevo: la mia vita era a Roma, arrivavo a Vicenza per i cda in treno e ripartivo. Non conoscevo nessuno». Ma Sorato e Giustini non gliene parlarono mai? «No, mai. Lo escludo in assoluto. Mi fidavo di quello che dicevano i funzionari. Nella mia lunga carriera non ne ho mai dubitato». E gli organi di controllo? «Dopo l’ispezione di Banca d’Italia del 2012 riferirono in consiglio che c’erano rilievi ma non sanzioni. In cda ero seduto vicino a Vittorio Domenichelli. Mi disse: ‘Sono molto soddisfatto. il capo degli ispettori mi ha detto che non ha mai trovato una banca ben organizzata come la nostra nei controlli’».
La chiosa è granitica: «Fino al 2015 non ho mai dubitato che la banca fosse condotta correttamente. E tutto andava in Banca d’Italia. Tutto». Alla fine, diventa via Nazionale il bersaglio di Monorchio, anche lui multato. Tutto scatta da una domanda del presidente della corte, Francesco Giuliano, che chiede di un lapsus minimo di Monorchio, che dice «ho, anzi avevo fiducia» in Banca d’Italia: «Mi ha deluso», replica l’ex ragioniere generale. «Ci consideravano soggetto aggregante nel 2014 e ci telefonavano per farci acquistare Etruria, Cariferrara e Marostica.
Ma come fai a farlo, se non hai contezza della solidità patrimoniale di una banca? Delusione: per anni ho lavorato bene con loro, con l’allora governatore Ciampi. Ho visto un trattamento superficiale».
Poi l’ultimo rilievo, sull’omertà in Bpvi: «È stata una situazione imbarazzante. Come si può pretendere che sappia di 64 lettere di riacquisto azioni? Dovevo guardare nei computer? Mi ha profondamente travagliato. Esser accusato di culpa in vigilando mi ha dato molto fastidio. Anche per i miei figli». Resta la domanda: ma Zonin sapeva delle baciate? «Per quello che posso dire io non ho mai avuto un’indicazione che sapesse - replica Monorchio a margine, fuori dall’aula -. Direi una calunnia».
Lettura della vita in Bpvi vista dal cda che si ritrova, in modo ancora più disarmante, nella deposizione di Breganze. Consigliere per oltre trent’anni, vicepresidente con Zonin per 16 e presidente di Banca Nuova. Le sue funzioni? «Di rappresentanza. Di serie B: quelle di serie A, - strategie, rapporti con le autorità, iniziative di beneficienza e culturali - erano sue. Per le cose secondarie, e i contributi erano tantissimi, dove bisognava esser presenti, andavo io. In Sicilia, poi, alla presenza tenevano tantissimo. Da professore universitario potevo parlare anche senza che preparassero i discorsi».
Per lui il comitato soci doveva limitarsi a controllare l’onorabilità dei candidati e sulla compravendita delle azioni non ci furono problemi se non all’ultimo. E con Zonin parlo mai di «baciate», gli chiede Ambrosetti. «No nella maniera più assoluta». Con un dubbio finale, nella domanda del legale di Banca d’Italia, Stefania Ceci: «Ma al di là di quello che vi dicevano, avete mai controllato?». «Non competeva a noi - è la replica -, toccava agli uffici». «Ma gli uffici, professor Breganze, chi li controlla? è la stoccata finale di Ceci - Gli uffici stessi?».
Breganze La mia era una funzione di rappresentanza di serie B: quella di serie A toccava a Zonin