Corriere di Verona

«La tripletta ai Mondiali? Il segno di chi era Paolo Ma credetemi, il vero Rossi resta quello di Vicenza»

Quarant’anni fa la mitica vittoria con i tre gol di Pablito I ricordi di Beppe Lelj, amico ed ex compagno nel Lane

- Di Daniele Rea

C’è un verso di un altissimo come Borges: «Ci siamo spartiti come ladroni il capitale delle notti e dei giorni». Ma per tutto il tempo che ciascuno di noi ha perso e buttato, ci sono giorni che, senza dubbio, è valso la pena di vivere. Ci si ricorda dove si era, con chi si stava, come ci si sentiva. Il pomeriggio del 5 luglio 1982 è uno di quelli, per chiunque abbia almeno 50 anni. Non importa se appassiona­to o meno di calcio. Quarant’anni fa questa impresa, con Italia-Brasile 3-2 e la tripletta di Paolo Rossi, ha segnato un’epoca. E dirlo non è esagerazio­ne. Un momento che ha segnato un punto fermo, eravamo un vetro rotto e ci ritrovammo nazione. C’era un’Italia che cercava una ragione per rimettersi dritta e la trovò, anche, in quel pomeriggio torrido. Grazie, anche, a Pablito. Rossi, Rossi, Rossi. Tre gol del ragazzo esploso del Vicenza di Gibì Fabbri. E di quel pomeriggio e di quel ragazzo parla Beppe Lelj, suo compagno di squadra e coinquilin­o negli anni del Vicenza secondo in Serie A.

Lelj, partiamo a ritroso: 5 luglio 1982, Mondiale di Spagna, Italia-Brasile. Lei?

«Io la guardo in tv, chiaro. La guardo e sono sereno, tranquillo. Perché aspettavo Paolo, sapevo che sarebbe esploso, era solo questione di tempo. Al primo gol ho sorriso e mi sono detto “ecco, questo è lui”. Ed era così».

Mai avuto un dubbio? «Mai avuti. I dubbi li avevo prima, quando non ingranava

Un ragazzo umile, serio, gentile con tutti anche quando era famoso e poteva atteggiars­i a star... Invece ci si trovava insieme non appena era possibile

ed era sommerso dalle critiche. Ecco, quel giocatore lì non era nemmeno lontano parente di Paolo».

Un’esplosione inattesa, però, questo si può dire?

«Sì, ma io ho sempre pensato che sia stato un disegno superiore... Qualcuno che abbia voluto scaricargl­i dalle spalle i pesi che aveva dovuto portare: gli infortuni, la fatica, la squalifica ingiusta, le pesanti critiche prima di quella partita con il Brasile. Deve aver passato momenti terribili, immagino, e si è sempre tenuto tutto dentro».

Riavvolgia­mo il nastro: 1976, nasce lì la leggenda del Real Vicenza...

«Ci troviamo in tanti nuovi, in una squadra che si era appena salvata in B. Gibì Fabbri come allenatore e Paolo che

arrivava dal Como. Non c’era più Vitali, il centravant­i, e Fabbri, in ritiro a Rovereto, decide che Paolo è il più adatto per ricoprire quel ruolo. Lui fino a quel momento era un’ala destra».

Ed è stata la sua fortuna. Un colpo di genio?

«In un certo senso, sì. Perché ha iniziato subito a segnare in Coppa Italia e non si è più fermato: 21 gol in B e Vicenza promosso. Poi 24 in A, da esordiente. Una squadra che era un’orchestra».

Lo definirebb­e un trampolino

di lancio?

«Da lì è partito verso la Nazionale e i grandi club, i Mondiali in Argentina nel 1978. Però il miglior Rossi, quello vero, quello inimitabil­e, l’abbiamo visto noi a Vicenza, e ci abbiamo giocato insieme. D’altra parte la sua carriera è stata di flash accecanti e di periodi più difficili».

Che uomo era Rossi?

«Un ragazzo umile, buono, affabile con tutti. Sorriso luminoso anche quando era famoso e avrebbe potuto atteggiars­i a star. Invece veniva spesso a Vicenza, giocava a calcio-tennis, si allenava sui campetti, si andava tutti insieme a cena. Anche dopo il Mondiale 1982, pur tra mille impegni».

Un aneddoto?

«Aveva la battuta pronta eccome... In una serata dove eravamo insieme gli chiesero di ricordare Fabbri e lui disse “Beh, cosa volete che dica? Se è riuscito a far giocare anche Lelj in Serie A vuol dire che era proprio un fenomeno...”. Questo era Paolo».

La semplicità vera che era anche la sua forza?

«Quando vinse il titolo di capocannon­iere ci regalò una medaglia a testa, sentiva di dover dividere la gioia con tutti. Io ci ho abitato insieme, lo posso dire, era una persona molto sensibile. Intelligen­te in campo e fuori».

La partita la vidi in tv, ma ero tranquillo perché dopo il primo gol mi dissi: ecco, questo è lui Mai avuto un dubbio che sarebbe esploso

Fabbri e Bearzot le figure centrali, nella sua vita di uomo e calciatore?

«Direi di sì, Fabbri l’ha plasmato e lanciato. Bearzot lo ha capito e poi l’ha protetto contro tutto e tutti quando era il momento. Due figure quasi paterne, per lui».

Rossi è mancato un anno e mezzo fa: quanto le manca?

«Tantissimo... No, una cosa così non se la meritava. Non c’è giorno che non mi chieda “perché” e non so farmene una ragione».

Lelj, che cosa può insegnare, nel calcio e non solo, la sua parabola?

Cene e calciotenn­is «Appena aveva tempo ci si trovava in città, calciotenn­is o a tavola era sempre pronto»

«Che non bisogna arrendersi mai. E che anche in fondo al tunnel più nero, lottando, si può vedere la luce».

 ?? ?? A Barcellona Rossi «siede» Junior con una finta e si avvia a segnare il secondo dei suoi tre gol al Brasile
A Barcellona Rossi «siede» Junior con una finta e si avvia a segnare il secondo dei suoi tre gol al Brasile

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