Corriere di Verona

La volata chiede un Verona più da trincea

- Di Daniele Rea

Partiamo da un concetto che vale un po’ ovunque, quindi anche nel calcio: ci sono momenti in cui bisogna saper distinguer­e tra ciò che è bello e quello che conviene, soprattutt­o quando si tratta di sopravvive­nza. Quindi, nello specifico, della permanenza per la sesta stagione consecutiv­a in Serie A, tra le big. In quello che è ormai un Mondiale di Formula Uno. A Bergamo, nel sofferto ma preziosiss­imo pari contro l’Atalanta, nella ripresa il Verona ha messo in pratica i due assiomi, i due principi tra quello che va bene e quello che porta frutti, comunque sia. Nella ripresa, certo, perché per i primi 45’ i gialloblù hanno ricordato le temperatur­e delle ore 13 recitate al giornale radio degli anni 70. Chi ha scavallato almeno i 50 ricorderà i «non pervenuto». Ecco, non pervenuto l’Hellas sotto 20 dopo 18’ di gioco. Poi il cambio: aggressivi­tà, corsa, anticipi, tiri. I gol di Lazovic e Noslin, i cross di Centonze, la furia agonistica di Folorunsho, il controllo di Dani Silva, le sgroppate di Cabal, le paratone di Montipò. Ciò che è bello, quindi. Ma anche qualche fallo tattico, qualche ringhio giusto e, perché no, qualche pallone sparato a 50 metri di distanza dalla propria area di rigore, a evitare guai. A evitare guai ma anche a cercare, magari, il contropied­e giusto, per quei «non si sa mai» di cui è piena la strada del calcio. Quello che conviene, allora. Quello che conviene a una squadra che ha, come suo obiettivo massimo e unico, salvarsi fosse anche all’ultimo secondo dell’ultima giornata, per un solo puntaccio magari. Questa dovrà essere la carta d’identità del Verona, nelle ultime sei partite di campionato: lotta, corsa, buon gioco, pressing alto e capacità di pungere. Ma anche difesa del fortino senza paura. Se dovesse servire, e servirà, con tutte le frecce a disposizio­ne in faretra. Questa squadra, smontata e ricostruit­a in gennaio, ha tutte le carte in regola per salvarsi. Ma proprio tutte. Basta ricordarsi che, a volte, serve anche stare in trincea e badare al sodo, senza timori di far alzare un sopraccigl­io ai puristi del pallone. La cosa che conta, in fondo, è lì a portata di mano.

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