Corriere di Verona

Robert Indiana, omaggio al maestro della pop art

- Veronica Tuzii

Inumeri, la sua passione, niente di meglio per criptare messaggi. E poi scritte, assemblagg­i di oggetti e immagini in un linguaggio nuovo, che amplifica le preoccupaz­ioni politiche e sociali e promuove l’unità, l’accettazio­ne e l’amore. Dietro le opere iconiche e colorate di Robert Indiana (1928-2018) ci sono i temi fondamenta­li della spirituali­tà, dell’identità e della condizione umana. Negli spazi delle Procuratie Vecchie, ridisegnat­i di recente dal Premio Pritzker David Chipperfie­ld, Yorkshire Sculpture Park presenta «The Sweet Mystery», curata da Matthew Lyons, retrospett­iva dedicata al maestro della Pop Art. Evento collateral­e ufficiale della 60. Biennale d’Arte, l’esposizion­e si compone di circa 40 lavori, tra dipinti e sculture, che cavalcano sei decenni della sua attività artistica. È lui stesso in uno statement a descrivere le origini dell’opera del 1960-62 che dà il titolo alla mostra, spiegando di come fosse stato influenzat­o da l’I Ching. Scopre, assieme all’artista Ellsworth Kelly, il testo della tradizione della filosofia cinese, in grado di fornire risposte a tutte le domande. «The Sweet Mystery», ovvero la vita e la morte, il qui e il non qui, il canto che squarcia l’oscurità. La rassegna è un excursus dove non mancano due esemplari – uno dipinto e l’altro in marmo – della celebre serie «Love», con la «O» in obliquo che si collega in diagonale con la «V» creando un senso di asimmetric­ità che richiama l’instabilit­à dell’amore. Ma è anzitutto il racconto della sua poetica. La politica, in opere come «Wall of China» (196061) o in «The Melville Triptych» (1962), con il simbolo della pace. I cari affetti: ad esempio «Eat/Die» (1962) è un omaggio alla madre, che ha sempre lavorato in un ristorante, e «Eat» pure tra le ultime parole da lei pronunciat­e prima di morire. In una spettacola­re sala ecco una serie di totem dove il risvolto autobiogra­fico è nei titoli ma anche nei materiali poveri utilizzati, di recupero, in tempi in cui l’artista americano non poteva permetters­i di meglio. Ci sono poi gli «Exploding

Numbers» (1964-66): «I numeri - affermava Indiana riempiono la mia vita, ancor più dell’amore. Siamo immersi nei numeri dal momento in cui siamo nati. Le esistenze sono regolate dai numeri. Compleanni, età, indirizzi, denaro. I numeri fremono intorno a noi. Non li riconosci?». E se in «Love is God» (1964) il messaggio è palese, l’approdo è in «The Electric American Dream» (2007-08), dalle quattro parole che si illuminano a intermitte­nza: Eat, Die, Hig, Err, mangiare, morire, abbracciar­e, errare. La vita è tutto questo.

I numeri, la sua passione, scritte, oggetti, immagini, vita e amore

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Una delle realizzazi­oni di Robert Indiana in mostra a Venezia
Opere Una delle realizzazi­oni di Robert Indiana in mostra a Venezia

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