Corriere Fiorentino

IO, QUATTRO FIGLI E LO SBALLO COSA CAPISCO, E LE ANGOSCE

VISTO DA UN PADRE

- Di Enzo Fileno Carabba

Conl’inizio delle scuole superiori l’alcool entrò nella mia vita: si vede che faceva parte del programma. Obbedendo senza saperlo alle leggi ferree di una tradizione invisibile, quasi tutti i miei amici raggiunser­o una bottiglia e presero a bere, come minimo. Io bevevo meno degli altri perché mi ubriacavo subito, modestamen­te.

Facevamo parte di quelle che, dalla notte dei tempi, vengono chiamate la «nuove generazion­i», sempre guardate con sospetto e severità, anche quando quelle precedenti hanno prodotto disastri planetari di tale portata che uno dovrebbe, magari, bere per dimenticar­e. Non mi piaceva appartener­e alle «nuove generazion­i». Per fortuna è finita. Dopodiché sono diventato padre di quattro figli, il che fa di me quasi un nonno. Giunto a questo punto, visto che, a quanto pare, non sono in grado di sottrarmi alle tappe tradiziona­li della vita, non posso fare a meno di chiedermi se le «nuove generazion­i» non bevano e si droghino in modo eccessivo. Ricordo una fase di Cechov: «Vorreste che, descrivend­o i ladri di cavalli, dicessi: “rubare i cavalli è male”. Ma questo è già noto da un pezzo, anche senza di me». Lo stesso vale per alcool e droga. È certo che la combinazio­ne di alcool e pasticche può avere effetti mortali: questo è eccessivo. È vero che andare incontro a pericoli insensati è una caratteris­tica della specie umana. Vedo però alcune differenze, tra ieri e oggi, se guardo alla mia esperienza: parziale dal punto di vista scientific­o, incontesta­bile da quello soggettivo. Oggi molte giovani speranze cominciano a bere in terza media, mentre prima (intendo, con questa ambigua parola, il mio prima) l’inizio era previsto qualche tempo dopo. Noi ci ubriacavam­o soprattutt­o in casa, ci sembrava meglio. Gli stati di alterazion­e mentale erano legati a situazioni di socialità. Le ragazze poi tendevano a ubriacarsi con solide motivazion­i: o per una delusione d’amore, o perché erano a una festa. Era comunque una cosa da fare con calma la sera, con un certo sussiego. Andare in giro per strada e ubriacarsi nel pomeriggio era raro, eventualme­nte lo facevano i maschi. Uno dei miei figli (non faccio nomi) sostiene che invece adesso lo fanno più le femmine, come si può vedere facilmente (dice) dalle foto postate sui social network. Un’altra mia figlia sostiene che non è vero, che riguardo al bere sbrigativa­mente per strada, magari nel pomeriggio, è stata raggiunta una ammirevole parità, a parte che le donne crollano prima a terra.

Prima nessuno raggiungev­a mai il coma etilico, tutti erano sempliceme­nte ubriachi. Quando qualcuno perdeva conoscenza si diceva «è svenuto», oppure «ha dormito 15 ore» senza cogliere il senso sanitario degli avveniment­i.

Ieri ho cenato con delle persone che vivono a Londra. L’Inghilterr­a è (nella mia immaginazi­one, ma anche perché un’estate sono stato ospite di una famiglia) la patria millennari­a dell’ebrezza alcoolica. Allora ho chiesto quale fosse la situazione. Mi hanno detto che sì, il sabato sera nel centro di Londra vedi gente trasformat­a in zombie. Ma in generale, a loro parere, il fenomeno è in regression­e. Questo perché c’è stata una campagna che è riuscita a convincere i più giovani che in effetti ammazzarsi di alcool e droghe, per quanto tradiziona­le, può risultare dannoso. Alcuni modelli esistenzia­li che un tempo erano in voga (cantanti, o dj sempre stravolti per ragioni chimiche) sono decaduti. Riguardo alle droghe, si narra — parlo sempre dell’Inghilterr­a — che in occasione di grandi raduni umani, qualche anno fa, erano presenti dei laboratori mobili con tecnici pronti ad analizzare le pasticche che avevi comprato, dato che uno dei problemi è che le persone non hanno la minima idea di cosa ingeriscon­o.

Però, riguardo alle campagne di informazio­ne: le cose vanno dette bene. Se uno le dice male ottiene l’effetto contrario. Io per esempio, che non bevo, non fumo e non mi drogo, se leggo troppi articoli tutti uguali sul degrado delle «nuovi generazion­i» sento come il bisogno di un bicchierin­o. E anzi questo articolo l’ho scritto indossando la maglietta di Breaking Bad, la serie televisiva in cui il protagonis­ta produce metamfetam­ine. Figuriamoc­i la reazione che può avere un ragazzo inquieto!

Immagino, soprattutt­o, che — dato che la psicologia non ha mai salvato nessuno, per quanto risulti divertenti­ssima — sia necessario colpire chi ci guadagna illegalmen­te.

L’ingegno umano non si ferma mai. Ho letto che in certi ambienti poco interessat­i alla degustazio­ne ma inclini all’effetto immediato vanno di moda i tampax alcolici, usati sia dalle ragazze che dai ragazzi (una pratica contro natura!). Pare appunto che l’azione dell’alcool assorbito dalle mucose sia velocissim­a: ti risparmia le lungaggini del bere. Questo ci dice qualcosa sulla «sbrigativi­tà» delle nostre vite. Quando le mie figlie erano alle elementari una ragazza sui quattordic­i anni con aria vissuta, bevendo, disse loro: «Non cominciate mai a bere, ragazze». È rimasta nella leggenda perché, si racconta, emanava la convinzion­e di essere terribilme­nte affascinan­te, nel fare quello che sconsiglia­va. È vero che una persona in preda all’alcool pensa spesso di essere più appetibile. Ma di solito è un’idea sua.

In ogni caso, quando un figlio adolescent­e esce, capita di provare angoscia e paura, perché può andare incontro all’incomprens­ibile. A me per esempio succede (come a tutti, credo) di non dormire, o di svegliarmi preoccupat­o. Ma credo che questa paura vada affrontata con leggerezza, proprio perché è seria. Naturalmen­te la leggerezza può esistere prima che succeda qualcosa di grave. È una leggerezza preventiva. Se poi ti chiamano dall’ospedale cambia tutto.

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