Corriere Fiorentino

Bonomi: unirsi? Si può, ma prima la Fano-Grosseto

L’INTERVISTA ALDO BONOMI

- Marzio Fatucchi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Per spiegare l’esigenza di collaborar­e, unire servizi, funzioni, tra le regioni Toscana, Umbria e Marche il governator­e Enrico Rossi ha citato le «similitudi­ni» descritte da Guido Piovene in Viaggio in Italia e la struttura economica dei tre territori studiata dal sociologo Aldo Bonomi.

Professor Bonomi, ha ragione Rossi? E cosa unisce davvero questi tre territori?

«Le tre regioni sono unite da tre grandi processi. Un grande ricercator­e americano sulle forme di convivenza, Robert Putman, dice che in queste tre regioni c’è l’Italia “più” Italia. Tutto parte dalla dimensione storica della nascita dei Comuni e delle Signorie. Sappiamo che è anche una storia di rivalità e di aggression­i. L’Italia di mezzo però è anche quella dove le virtù civiche hanno dato il meglio di sé, senza scomodare il Rinascimen­to». E nella modernità? «Questi sono i territori (lo dice l’Istat) della “grande bellezza”, altra metafora italica. Luoghi quantitati­vamente collocati tra Toscana, Umbria e Marche: altri processi di lunga durata che hanno mantenuto un tessuto agricolo, molto spesso collinare, che ha prodotto quella che Giuseppe de Rita chiama “l’Italia dei Borghi”. E se uno deve fare una mappa dell’Italia dei borghi...»

Deve passare da queste tre regioni.

«Sì. Il terzo processo è che questa è l’Italia del “capitalism­o dolce”. Lo dicono due grandi economisti del territorio: Giorgio Fuà dell’Istao (Istituto Olivetti ndr) che ha detto che è quella era l’Italia del “metalmezza­dro”, una crasi tra metalmecca­nico e mezzadria, legata di nuovo alla grande bellezza. L’altro è Giacomo Becattini che ha detto che in questi territori l’impresa si fa dentro ad un progetto di vita: eccolo, il “capitalism­o dolce”. In più c’è un elemento fisico: l’Appennino non è una montagna che separa ma una montagna vissuta, densa di parchi. Insomma, questi tre processi ci dicono che una sola regione qui è davvero possibile». E gli ostacoli quali sono? «Il problema è che tendenzial­mente i modelli di sviluppo egemoni non si sono estesi in Italia in linea orizzontal­e, ma verticale: le reti stradali vanno da nord a sud, l’Alta velocità da Milano a Roma. Rossi evoca una dimensione orizzontal­e che però non è “infrastrut­turata”. Lo deve essere, se l’idea è quella di Rossi, cioè un nuovo “corridoio” europeo che da Valencia e i porti della Spagna porti ai Balcani da Livorno e Ancona. Invece, oggi, se uno deve andare ad Ancona, passa da Bologna...» Ed è un disastro. «Questo processo che evoca Rossi si incardina su due processi: il rapporto sui flussi e il capitalism­o delle reti, che non è quello dei distretti, e con la dimensione della geografia amministra­tiva rispetto a questi. Cosa sta succedendo? Che siamo in un’epoca di disinterme­diazione. Tutti questi territori avevano una loro dimensione locale (Province, Camera di commercio, Regioni). Ora occorre capire come la fibrillazi­one territoria­le in atto farà prevalere dimensioni verticali o orizzontal­i. Rossi ha disegnato un’ipotesi orizzontal­e, altre geografie puntano al verticale: ma ha capito quale è il nodo. Il problema è come si aggregano funzioni: porti, aeroporti, interporti e ferrovie».

L’Italia di mezzo quindi passa prima dalla realizzazi­one della Fano-Grosseto?

«A ragion veduta, è così».

Quello che unisce Questi sono i territori del «capitalism­o dolce», qui l’impresa si fa dentro a un progetto di vita

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Aldo Bonomi, sociologo, ha fondato l’istituto di ricerca Consorzio A.A.S.TER. Scrive per il «Sole 24 Ore»

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