SAN PIETROBURGO, FILARMONICA DAL SUONO PERFETTO
Le braccia dritte, il dorso della mano destra ben steso, a tracciare linee regolarissime nell’aria; mentre la sinistra è come rannicchiata, a lavorare l’espressività con gesti impercettibili. Nessuna bacchetta fra le dita, come ha sempre fatto. Pare impossibile che da un gesto apparentemente così parco e schematico Yuri Temirkanov ottenga dalla Filarmonica di San Pietroburgo la dolcezza più struggente e la violenza più devastante. Eppure è così.
Chi ha avuto la fortuna di assistere al concerto della Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Temirkanov all’Opera di Firenze, lo ricorderà a lungo come un evento memorabile; in confronto, le serate di questo Maggio Musicale con i Wiener Philharmoniker e Harding e con i Berliner e Nézet-Séguin hanno la luminosità di stelle lontane. Lascia sbalorditi il suono della Filarmonica di San Pietroburgo, forgiato da Temirkanov in questi quasi trent’anni della sua direzione stabile: un tessuto compatto e caldo, sontuoso e avvolgente, con quella tinta inconfondibilmente russa, malinconica, nei legni, e archi protesi al canto, e ottoni di sfolgorante potenza. È come uno strumento unico nelle mani di Temirkanov, che lo adatta alla sua gigantesca personalità interpretativa in un programma che più congeniale non si poteva pensare. In apertura di serata, c’è l’ouverturefantasia Romeo e Giulietta di Cajkovskij. Una sdolcinata storia d’amore? Temirkanov ne fa una tragedia di proporzioni cosmiche: tempi lentissimi, frasi musicali dagli imponenti rilievi plastici, una tensione che serpeggia di continuo. E quando il celeberrimo tema d’amore risuona in tutta la sua pienezza di canto, i corni che lo accompagnano ci arrivano come singhiozzi disperati. Poi ancora Cajkovskij, il Concerto per violino. Solista ne è Leticia Moreno: graziosa, si dondola vistosamente seguendo la musica, e affronta il capolavoro con agilità nervosa, un suono acidulo e di scarsa consistenza. Mentre d’intorno Temirkanov, che amorevolmente l’accompagna, fa emergere della pagina tutta l’anima russa. Ad imporsi è piuttosto il violino di Lev Klychkov, prima parte della Filarmonica, impegnato nei passi solistici della Shéhérazade di Rimskij-Korsakov. E qui potentissime sono le capacità di narratore di Temirkanov, che ricrea questi quadri ispirati alle Mille e una notte come una sequenza cinematografica, scandita da un mobilissimo afflato epico, e senza mai scivolare nell’effettismo gratuito. Una narrazione che coinvolge senza un attimo di sosta, fatta di eloqui pieni come di sensuali delicatezze: pare di toccarli con mano il rigonfiare delle onde, la passione struggente del principe Kamar, la violenza apocalittica del naufragio finale. È un successo trionfale, che porta a due bis: un delicatissimo Momento Musicale n. 3 D 780 di Schubert, un’indiavolata Danza russa dallo Schiaccianoci. Peccato che un pubblico così festoso — c’era anche Mika — non fosse numeroso. È chic solo andare ad ascoltare i Berliner?