La mia Mimì, nel Bataclan
L’intervista Cristina Muti porta al Teatro del Giglio di Lucca una speciale rivisitazione della «Bohème» Con cantanti, attori e una band. E un finale coi kalashnikov: «Quella tragedia ha segnato la nostra memoria»
Ci siamo inventati un genere, forse con arroganza, ma rispettando Puccini
Il dramma di Mimì, fra le più amate eroine del mondo di Puccini, nella Parigi di oggi e con la veste sonora di una band. E una dedica alle vittime della strage del Bataclan, richiamo che va al di là della pura commemorazione. È Così muore Mimì, nuovo spettacolo del festival Lucca Puccini Days che andrà in scena sabato 3 dicembre, ore 21, al Teatro del Giglio (www.teatrodelgiglio.it, tel. 0583.465320). L’ha ideato per l’occasione Cristina Mazzavillani, moglie del maestro Muti, regista, anima e presidente del Ravenna Festival. In quasi un’ora e mezza è concentrata la vicenda della Bohème, con i motivi musicali dell’opera di Puccini più noti ma riproposti in una rivisitazione firmata da Simone Zanchini, musicista eclettico e vicino alla cultura jazz. Di qui l’utilizzo di un piccolo gruppo di strumenti, che vedono lo stesso Zanchini alla fisarmonica, Mirco Rubegni alla tromba, Alessandro Cosentino al violino, Andrea Alessi al basso, Cristiano Calcagnile alla batteria e Alfonso Santimone alla tastiera. Accanto a loro, i cantanti Mariangela Aruanno (Mimì), Giulia Mattarella (Musetta), Luca Marconi (Rodolfo), Paolo Gatti (Colline), mentre il personaggio di Marcello rivive nella narrazione di Franco Costantini, ed è come se la storia di Bohème fosse vista dai suoi occhi. E inoltre, «danzactori» di Ravenna Festival, quattro attori e la danzatrice Miki Matsuse, storica musa del coreografo Micha van Hoecke. Uno spettacolo composito, dalla stessa Cristina Muti – che ne firma regia, scene e costumi – definito come qualcosa di «sperimentale»: «Ci siamo inventati un genere, forse con arroganza, di certo con grande coraggio, ma sempre con grande rispetto per Puccini. Così muore Mimì è un dramma musicale per ensemble e voci, una sorta di film muto in bianco e nero con colonna sonora dal vivo».
In questa rivisitazione contemporanea della «Bohème», il riferimento alla strage del Bataclan di Parigi è solo nella dedica dello spettacolo alla memoria quelle vittime?
«Quel tragico evento ha segnato la memoria di tutti noi. A Ravenna, quel giorno, stavamo provando Bohème. Così muore Mimì è ambientata, come l’opera di Puccini, a Parigi; e lì suona una band, proprio come c’era un gruppo musicale, gli Eagles of Death Metal, a suonare al Bataclan. Di fronte a simili tragedie, ciascuno di noi, pur rimanendone colpito, pensa sempre di essere estraneo alle sorti degli altri. Ma può succedere che, mentre ci commuoviamo innanzi alla morte di Mimì, sul palcoscenico irrompa qualcuno con un Kalashnikov spianato…».
È il teatro che ci riporta alla precarietà della realtà. Ma come e perché è nato «Così muore Mimi?»
«Lo spettacolo è il completamento della Trilogia d’autunno “Un progetto per Bohème”, percorso realizzato al Ravenna Festival con la messinscena dell’opera e poi con il musicaldivertissement Mimì è una civetta. Perché proprio La Bohème? Perché è uno dei primissimi affreschi musicali che hanno aperto le porte al musical, a Cole Porter e Bernstein, e alla modernità di Stravinskij, che amava tantissimo Puccini».
Come spesso nelle sue regie, anche qui troviamo l’uso delle tecnologie multimediali, i video, la spazializzazione del suono…
«La video arte rende pratico e agile un allestimento. Quanto agli effetti sonori – non rida – mi ha insegnato tutto Verdi: nella sua scrittura c’è già l’idea della spazializzazione, basti pensare a come collochi voci e sonorità in luoghi e posizioni differenti, come ad esempio nella scena della tempesta del Rigoletto. Se Verdi avesse avuto a disposizione le tecnologie di oggi, si sarebbe di sicuro divertito ad usarle!».
Che cosa l’affascina della multimedialità, che lei utilizza fin dalla prima opera di cui ha curato la regia, «I Capuleti ed i Montecchi» di Bellini?
«Già da allora mi sono rivolta a giovani light e sound designer per l’uso di queste tecnologie. E notavo che questi, pur non sapendo proprio niente di opera, si erano innamorati con curiosità della musica di Bellini, la canterellavano. Se questo può essere un modo per avvicinare i giovani all’opera, mi sono detta, allora usiamo questi linguaggi. E poi io vengo dal teatro dei burattini, da quel mondo di suggestioni fantastiche che da bambina mi emozionavano. Lo stupore tipico dei bambini, e che la multimedialità ci può far ritrovare da adulti».
Quella produzione dei Capuleti arrivò anche a Lucca, nel 2005…
«Sì, e mi diede coraggio nell’andare avanti. Ma a Lucca ho tenuto anche uno dei miei primissimi concerti. Fresca del diploma di canto, avevo poco più di 20 anni, proposi di testa mia un programma con spirituals, Schubert e Schumann. E volli anche presentare al pubblico tutti i brani prima di cantarli! “Di questa giovane coraggiosa sentiremo ancora parlare”, scrisse un giornale. Poi ho seguito un’altra strada. Dopo il diploma, mi prese lo sconforto: e ora? Giurai che un giorno avrei aiutato quei giovani come me. E a loro dico: non fate tacere l’urlo che avete dentro di voi».