Costì e costà: il fiorentino spiegato ai forestieri
Paolo Panizza racconta per la Apice Libri i modi di dire e le espressioni tipiche
Chi ama l’ordine (alfabetico) troverà alla fine oltre 700 parole, da «abbaruffìo» (nel senso di disordine) a «zuppa» (nel senso di ceffone). Ma non si tratta di un vocabolario: è semmai un racconto. Una lunga chiacchierata — garbata, ironica, divertente, mai banale — in mezzo al fiorentino d’oggi (e un po’ anche di ieri), a cavallo di quella sottile linea che divide lingua, dialetto e vernacolo.
Ne Il fiorentino raccontato ai forestieri (Apice Libri), che verrà presentato martedì 6 dicembre alla Biblioteca delle Oblate (ore 17), Paolo Panizza si è mosso lungo quel delicato confine, immaginando di spiegare a chi arrivasse da fuori, e grazie anche ai frequenti aneddoti, la lingua parlata a Santa Maria Novella e davanti al Battistero, in Oltrarno e fino alle periferie cittadine del terzo millennio. Provando a chiarire le idee a chi magari mai si aspetterebbe di sentir chiamare misericordia una semplice ambulanza.
Curioso dei problemi linguistici fin dai tempi degli studi universitari conclusi con una laurea in filologia romanza e poi bibliotecario di professione, Panizza ha filtrato la propria esperienza di parlante con gli scritti sull’argomento pubblicati nel corso degli anni e con il confronto con vecchie e nuove generazioni: «Ho cercato un terza via — spiega — tra i saggi scientifici e quelli dei tanti “cultori locali” che si sono avvicinati al tema. Soprattutto ho provato a rendere narrabile questa materia». Parola per parola, viene descritto un mondo ma anche un modo di intendere le cose e di organizzare la realtà e perfino i punti di vista («costì», «costà», «costassù», «costaggiù»).
E così, se non può che scappare un sorriso — fiorentini o no — nel leggere termini come «marimettere» o «bruzzico», «manfano» o «bubbolare», vale la pena interrogarsi anche sull’«ironia del contrario»: quel meccanismo che porta a dire «buttalo via» per indicare qualcosa di gradito o a giocare sul senso di «moccolo», termine che resta sospeso tra la bestemmia e il cero devozionale. Anche se a tratti improvvisamente desueto al giorno d’oggi, più nel lessico probabilmente che nei meccanismi fonetici o sintattici, il fiorentino resta un mezzo di comunicazione vivo, su cui vale la pena di riflettere e sorridere insieme. Organizzato nel racconto per campi di applicazione nella vita di tutti i giorni (dalla casa alla società, dalla cucina alle parolacce, dai mestieri ai giochi) senza mai perdere il tono narrativo e affabulatore, il volume comprende anche una accurata sezione grammaticale e un vero e proprio vocabolario essenziale di fiorentino-italiano.