Il caffè di Giuliano
Dopo l’invasione toscana dei palazzi romani che ne sarà degli uomini e delle donne di fiducia del premier dimissionario?
Dopo la vittoria del No al referendum, Matteo Renzi (nella foto in auto verso il Quirinale) si prepara a lasciare Roma per far ritorno a Pontassieve. Gli effetti del voto, che ha visto prevalere il No in gran parte della costa toscana, preoccupano il Pd in vista delle amministrative 2017. E il segretario Parrini attacca Enrico Rossi.
Sapore di Renzi 1.017 giorni dopo. Parafrasando il sequel del mitico film di Carlo Vanzina, ora che la mazzata del referendum è andata a segno, viene da chiedersi cosa resterà dell’avanzata renziana nelle stanze dei bottoni. A cominciare da Palazzo Chigi, trasformato dal 17 febbraio 2014 in Granducato di Toscana. Il «Giglio magico», come venne subito ribattezzato il giro dei fedelissimi del premier (Luca Lotti, Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi), qui aveva rottamato il romanesco. Uno spoils system forse più radicale dei precedenti, quando nelle stanze di piazza Colonna erano stati in voga il «Clan degli avellinesi» di Ciriaco De Mita, la «Corte arcoriana» di Berlusconi o il «Cerchio magico» della Lega di Bossi prima del tracollo.
«E ora?», si domanda la numerosa truppa renziana, che tra incarichi in Parlamento e a Palazzo Chigi supera la cinquantina di persone. La prima categoria potrà comunque rimanere al proprio posto (mantenendo anche lo stipendio), finché non saranno sciolte le Camere. Discorso diverso per chi ha incarichi diretti di governo. E che, eccezioni a parte, nel giro di qualche giorno dovrà lasciare la propria scrivania.
Luca Lotti da Samminiatello («capitale» di Montelupo Fiorentino), braccio destro di Matteo Renzi e unico uomo di cui il premier si fida veramente, nel giro di pochi giorni lascerà il suo ufficio di sottosegretario, da cui ha giocato le partite chiave dell’esecutivo: dalle nomine delle società partecipate dello Stato, alle trattative rompicapo per approvare al Senato i provvedimenti più delicati. Lotti, detto «Biondo», regista dei ripetuti soccorsi dei verdiniani all’esecutivo, nel 2013 è stato eletto deputato alla Camera, e lì potrà comunque restare.
C’è poi in ballo il futuro di Maria Elena Boschi da Laterina (Arezzo), madrina della riforma bocciata dal 60 per cento degli italiani, la cui immagine era stata irrimediabilmente sciupata dal crac di Banca Etruria, di cui il padre era vicepresidente. Un epilogo ben diverso rispetto al roseo scenario di qualche mese fa, quando la ministra per antonomasia del governo Renzi, dopo la vittoria al referendum, aveva come prospettiva la guida della Camera post Boldrini. Lo tsunami del referendum l’ha colpita più di altri. Cosa farà adesso? Anche la Boschi, come Lotti, tornerà a sedere a Montecitorio. E poi? Riprenderà la carriera da avvocato oppure avrà un’altra chance in politica?
E come scordare Francesco Bonifazi da Gavinana (intesa come quartiere di Firenze), viveur e instancabile animatore dei (pochi) momenti di svago serale del Giglio magico, quando magari dopo una pizza e una bevuta scattavano sedute intensive di karaoke. Al tesoriere Bonifazi, soprannominato negli anni fiorentini anche «BoniTaxi», in quanto scarrozzatore di Renzi prima che arrivassero scorta, auto blindate e aerei, il premier aveva affidato la cassaforte del partito e la gestione di buona parte di quella montagna di finanziamenti privati per sostenere la campagna referendaria. Si parla di una cifra monstre: circa 10 milioni di euro, che però non hanno sortito gli effetti sperati. Anche Bonifazi potrà continuare a contare su uno scranno alla Camera, ma presto potrebbe dover riaffrontare un’altra grana: i conti de l’Unità.
E «Marchino»? Alias Carrai da Greve in Chianti, fidato consigliere e miglior amico del premier, che farà? Renzi, per mesi, avrebbe voluto affidargli la guida della cyber sicurezza con una squadra ad hoc a Palazzo Chigi. Apriti cielo, una tempesta di polemiche. Marco Carrai non potrà contare su una poltrona in Parlamento, ma nel frattempo il volume dei suoi affari è lievitato in maniera rilevante grazie alle imprese dei settori più disparati che a lui fanno capo. Carrai è anche presidente di Toscana aeroporti e trait d’union tra i renziani, politica e finanza israeliana.
Nonostante il crollo del governo, ha invece una sorta di assicurazione a vita Antonella Manzione da Pietrasanta. La ex comandante della polizia municipale di Firenze, che Renzi volle a Palazzo Chigi per guidare il Dipartimento Affari giuridici legislativi, il cuore della «fabbrica» delle leggi del Paese, nelle settimane scorse è stata nominata consigliere di Stato, una delle cariche più prestigiose a cui può aspirare un giurista. Ma soprattutto una carica «a vita» con lauto stipendio.
Cosa farà invece Franco Bellacci, meglio conosciuto come «Franchino»? Il segretario particolare del premier dimissionario, valdarnese doc, è il motore operativo del renzismo. L’uomo dei social network, delle slide da organizzare a notte fonda, dell’iPhone di Renzi che va in tilt, della canzone o del film da scaricare... Adesso, dopo mesi passati a rotta di collo tra aerei e auto lanciate a 200 chilometri orari per saltare da un comizio all’altro, probabilmente si prenderà un periodo di meritato riposo.
Capitolo fotografo personale, anche lui prossimo alla disoccupazione. Stiamo parlando di Tiberio Barchielli da Rignano, da sempre amico di Renzi senior (Tiziano) e ingaggiato a Palazzo Chigi con 85 mila euro di stipendio annuo, proprio per il suo essere «fidato» e «riservato». Se Barack Obama aveva chiamato un certo Pete Souza, uno dei fotografi più apprezzati del pianeta, Renzi si è accontentato di una versione un po’ più rustica: quel Tiberio che, sigaro fisso in bocca, per anni ha rincorso vip più o meno vestiti a caccia di gossip per la sua agenzia.
C’è poi Pilade Cantini da San Miniato (Pisa). O meglio il «compagno» Pilade, che Renzi aveva messo a capo dell’ufficio di corrispondenza di Palazzo Chigi, il radiografo delle circa mille mail che in media arrivavano al premier ogni giorno. Anche per il «risponditore» con il cuore saldamente a sinistra sta per arrivare una pausa, che magari impiegherà per presentare il suo nuovo libro scritto con ricordi di vita vissuta assieme al mitico Carlo Monni da Champs sur le Bisence (o meglio: Campi Bisenzio).
Sta per sparire anche la poltrona di Erasmo D’Angelis, ultra renziano della prima ora, che dopo aver guidato da presidente Publiacqua a Firenze era finito (suo malgrado) a guidare l’Unità a Roma. Da direttore, poi di nuovo a Palazzo Chigi come responsabile di «Italia sicura», ufficio che si sta occupando della ricostruzione post terremoto.
E come non ricordare, infine, la poltrona di Filippo Bonaccorsi? L’ex presidente e privatizzatore di Ataf, l’azienda fiorentina dei trasporti, ha lavorato per un anno e mezzo nel team del governo per la sicurezza degli edifici scolastici. Non è andata granché bene. L’avvocato Bonaccorsi s’intende meglio di trasporti.
C’è chi tornerà in Parlamento, chi invece dovrà tornare a casa