Corriere Fiorentino

Pisa, la ricercatri­ce che ricostruis­ce l’affresco giottesco

Margherita Orsero si è trasferita a Pisa per incollare i pezzi dell’affresco di Stefano Fiorentino Un’opera di scuola giottesca distrutta nell’incendio del Camposanto del ‘44 e ridotta in 24 casse di frammenti

- di Cinzia Colosimo

Abbiamo stampato una riproduzio­ne fotografic­a su cui collochiam­o i rammenti

Si credeva perduto per sempre, invece qualcosa è rimasto. L’affresco l’Assunta di Stefano Fiorentino, uno dei migliori allievi di Giotto, accoglieva sopra la porta dell’ingresso orientale del Camposanto monumental­e di Pisa fino al 1944. Il terribile incendio di quell’anno lo colpì duramente, più di altre opere e confinò il suo destino nelle casse riempite di macerie per i successivi sessanta anni. Oggi Margherita Orsero, 28 anni, dottoranda, dentro quelle casse ci ha messo le mani e ha scoperto che «qualcosa resta ancora». Nei laboratori della Primaziale di Pisa, dove da decenni i restaurato­ri stanno curando le decine di affreschi del Camposanto, lei porta avanti la sua ricerca per le Università di Losanna e Genova. «Ho cominciato con gli autori del ‘300 nel Camposanto — racconta — quindi Traini, Buffalmacc­o, Gaddi, su cui di certo non mancavano conoscenza e bibliograf­ia». A forza di scavare nei documenti, dopo un anno si rende conto che c’è un aspetto da approfondi­re: «Dalle fotografie — spiega — l’unica traccia complessiv­a che ci è rimasta, sembra che L’Assunta di Stefano Fiorentino, del 1340, sia stata applicata alla parete, e la parte inferiore appare appoggiata all’arco della porta su cui sovrastava. Ho ipotizzato potesse essere un tavolato ligneo di supporto». Da lì, aggiunge, «ho deciso di cercare direttamen­te i frammenti nelle casse, per capire cos’era rimasto».

Sono ventiquatt­ro i contenitor­i con i reperti rimasti: «C’era di tutto, spesso sistemato in modo confuso, con attribuzio­ni sbagliate». Del resto, la loro sopravvive­nza non è stata facile, né scontata: «Dopo l’incendio l’esercito americano si occupò di liberare il pavimento dalle macerie. L’Assunta era proprio all’ingresso, calpestata nel punto di passaggio più intenso. Le casse furono poi portate a Roma all’Istituto di Restauro dove rimasero fino al ‘55, quando tornarono a Pisa», dove sono rimaste ignorate fino a oggi. «Mi sono trasferita qui due anni fa — aggiunge — per dedicarmi a questa ricerca». Da allora i frammenti di Assunta stanno tornando alla luce: «Abbiamo stampato una riproduzio­ne fotografic­a a grandezza naturale su cui collochiam­o i frammenti», dice, china sul grande puzzle da cui spuntano fuori panneggi e colori al loro posto. «Da quella vasta griglia di quadrati che componevan­o l’affresco, tutto ciò che resta è in quelle casse, dato che il crollo si portò dietro per intero l’arriccio, con la probabile sinopia». Accanto a lei ci sono Cristina Martini e Cristiano Fico, restaurato­ri della Primaziale: «Le casse aspettavan­o proprio qualcuno come Margherita per essere sistemate», dicono. Lei prende in mano un reperto, lo volta: «L’idea è che l’affresco fosse, almeno nella parte sopra la porta, appoggiato su legno. E infatti qui dietro c’è ancora il segno del canniccio su cui si applicava. In più ci sono i segni di fori — spiega indicando un altro frammento — che sembrano ancoraggi al muro». La scoperta è rilevante anche sotto il profilo stilistico: «Nella scena ci sono due angeli in basso che reggono l’Assunta; si trovano proprio sopra l’arco. È come se il supporto ligneo servisse a dare tridimensi­onalità a tutto l’impianto». «È un’ipotesi», specifica, «che ho condiviso sia con i miei docenti — Serena Romano e Clario Di Fabio — sia don Donatella Zari e Carlo Giantomass­i, i maestri restaurato­ri del laboratori­o». La sua ricerca è già stata presentata ad un convegno tenutosi a Losanna lo scorso aprile e trova conferma nello stesso Giantomass­i: «Ci sono i segni di un supporto ligneo», dice. «E anche se i frammenti restituira­nno non più del 10% dell’affresco — aggiunge — è pur sempre un recupero importante. E dimostra che la pazienza premia». Di certo a Margherita non è mancata, come non è mancata la determinaz­ione ma anche il rispetto verso un’opera che per il Vasari addirittur­a era «alquanto meglio di disegno e di colorito che l’opera di Giotto». L’unica testimonia­nza di Stefano Fiorentino a Pisa; un affresco particolar­mente significat­ivo, con un soggetto, come ha scritto lo storico Antonino Caleca «che sulla porta di comunicazi­one con la piazza e il Duomo, riprende il mistero a cui quella chiesa è dedicata». «Una grande macchina teatrale», la chiama ancora, «una macchina sospesa a funi adatta a dar concreto riscontro alla narrazione dell’assunzione».

«So di essere circondata da alcuni dei massimi esperti degli affreschi del Camposanto — riflette Margherita — e considero un onore potermi confrontar­e con persone come Caleca e Ronzani, che mi sostengono in questo percorso». Il recupero dei frammenti non è concluso: «Ho ancora dei mesi di lavoro davanti, poi capiremo cosa fare di ciò che è rimasto. È certamente pensabile il restauro dei resti e un’installazi­one. Ma valuterà la Primaziale». Margherita si emoziona quando pensa al futuro: «Chiaro, non sarò certo io a dire qual è il destino dell’Assunta. Di certo per ora ha cambiato il mio».

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