Le parole dei tre Matteo, da una stagione all’altra
LO STUDIO DELL’UNIVERSITÀ DI PISA
La metamorfosi di Renzi analizzata attraverso le sue parole in uno studio dell’Università di Pisa.
Dimmi come parli (su Facebook) e ti dirò chi sei. O almeno come sei cambiato. Su la Repubblica di ieri Francesco Merlo, nel tratteggiare la metamorfosi del premier travolto dai No alla sua riforma costituzionale, scriveva di un «renzidiprima» e un «renzidipoi». Con il primo che avrebbe fatto fatica a riconoscere il secondo e viceversa. Ma è stata davvero così profonda la trasformazione di Renzi e del renzismo dal 2012 a oggi? La risposta è sì. E la prova sta nella radicale mutazione del linguaggio dell’ex sindaco di Firenze diventato prima segretario del Pd e poi presidente del Consiglio. Tre ricercatori del Laboratorio di linguistica computazionale dell’Università di Pisa (il professore associato Alessandro Lenci insieme a due collaboratori, Lucia Passaro e Alessandro Bondielli) hanno analizzato le parole usate su Facebook e sulla Enews negli ultimi quattro anni, cioè dal 3 dicembre 2012 (giorno della sconfitta contro Bersani) al primo novembre scorso.
E il risultato lascia poco spazio ai dubbi: «Abbiamo distinto — spiega Lenci — tre fasi della recente vita politica di Renzi, quella del rottamatore, quella del governo e quella del referendum. Nella prima, per esempio, c’è tutta una serie di termini come cambiamento, finanziamento pubblico dei partiti, sinistra, nuovo, vecchio, che nella terza sono quasi assenti. Allo stesso modo nella fase del governo, ci sono parole come riforma, jobs act, posti di lavoro che in quella del referendum scompaiono. È come se in attesa dei risultati della consultazione elettorale l’azione di governo si fosse impantanata». Dunque, le parole rottamazione, gufi e sinistra sono pian piano sparite dal linguaggio del segretario-premier per lasciare il posto a futuro, lavorare, passo dopo passo. Sono anche i tempi — tanto per fare un parallelo tra linguaggio e comportamenti — in cui Renzi per spostarsi passa dal treno (e dalla bici) all’auto blu. O addirittura all’aereo di Stato per le vacanze in Val d’Aosta con moglie e figli.
La ricerca ha preso in esame 1.747 post pubblicati dal 2012 al 2016 per un totale di 137.809 elementi. «Abbiamo scelto Facebook — spiega il docente di linguistica — per la naturalezza con cui Renzi usa i social network e anche perché è stato molto più facile reperire i testi rispetto a Twitter. Poi, per avere un contesto più legato all’ufficialità sono state inserite 89 Enews pubblicate nello stesso periodo, arrivando quindi all’analisi di 143.841 elementi». Una volta scaricato il materiale, l’algoritmo ha estratto 281.650 termini, sia semplici che complessi (come ad esempio «riforma della pubblica amministrazione») poi rappresentati graficamente in tre Wordle, le «nuvolette» in cui la grandezza di ogni parola è proporzionale alla frequenza con cui viene utilizzata. «Le differenze linguistiche, e quindi di orientamento politico — fa notare ancora Lenci — sono immediatamente visibili. Come l’enfasi portata sul “cambiamento” dal Renzi rottamatore, con tutta una serie di termini che richiamano l’abolizione dei finanziamenti ai partiti, poi successivamente spariti dalla narrazione del presidente del Consiglio. Il periodo del governo è infatti dominato dal tema delle riforme e da tutta una serie di termini legati all’azione dell’esecutivo. È l’era del “fare”: scuola, lavoro, crescita. Significativo anche che i termini concreti delle riforme sui “contenuti” spariscano di fatto nella terza fase, dominata solo dalla riforma costituzionale». Nello studio c’è anche un vocabolario renziano, con la classifica dei termini più usati. I primi dieci posti: Paese, grande, cambiare, lavoro, Europa, scuola, politica, nuovo, futuro. riforma.
«Non è un caso — commenta Michele Cortelazzo, docente di linguistica italiana all’Università di Padova, accademico della Crusca e autore di vari studi sul linguaggio dei politici italiani — che tra le parole più utilizzate ci sia “grande” e “cambiare”. È un lessico che punta a suscitare emozioni, una caratteristica su cui il premier dimissionario punta molto. Anche se, bisogna fare molta attenzione perché penso che in qualche modo sia fisiologico un cambiamento di linguaggio quando si passa da un ruolo all’altro come è successo a lui negli ultimi quattro anni».
C’è però un sottile filo rosso che lega il Renzi rottamatore a quello dell’ultima fase, la referendaria: «Di fatto — continua Cortelazzo — lui è l’inventore per l’Italia di un nuovo genere testuale, il discorso della sconfitta. Renzi è l’unico uomo politico italiano che non si limita a dare le dimissioni, a nascondersi, ma dichiara a viso aperto di aver perso. Lo aveva fatto già dopo la batosta alle primarie del Pd contro Bersani, tra l’altro sempre nei primi di dicembre. Evidentemente non gli porta bene questo mese». Lo schema del discorso della sconfitta è «fortemente positivo», «perché assume su di sé qualsiasi responsabilità e scarica i suoi collaboratori. Dice è colpa mia, cosa che non è da politico italiano. E poi tende sempre a innalzare il livello emotivo, cercando quasi di superare l’amarezza con un forte richiamo a valori di tipo personale, morale, come ad esempio il ringraziamento alla moglie».
Tramutare in un momento rituale pubblico anche la sconfitta: ecco, dunque, l’elemento che collega dottor Jekyll a mister Hyde. «E sono discorsi — analizza Cortelazzo — fatti molto bene, che hanno come obiettivo anche quello di cadere in piedi, creare un senso di appartenenza. Comunque, non è facile trovare un uomo politico italiano che ha il coraggio di dichiarare così la sconfitta».
Scomparsi i termini sinistra e riforma Tra quelli più usati lavoro, Europa, scuola