Le prove di forza in Toscana oltre i fronti del 4 dicembre
Renziani contro dalemiani, rossiani, lettiani, Giovani Turchi... E nel 2017 si vota
Non si sa quando e se si voterà per le politiche, quando e se si terrà il congresso, chi saranno tutti i candidati. Ma il referendum è stato una centrifuga che ha amplificato le divisioni nel Pd. Ed ogni divisione ha i suoi generali. Tutti noti quelli del fronte del Sì, come quelli «ufficiali» del No che però ne ha altri meno noti o sottotraccia. C’è chi si lecca le ferite, in entrambi i campi: i No «ufficiali», concentrati a Firenze, hanno sfondato poco in zona. Sulla costa, dove peraltro erano presenti pochi generali (a volte neanche colonnelli), le truppe sono uscite dalle trincee andando a far vincere i contrari alla riforma Renzi-Boschi. Con alcuni «blitz» in territori feudi del Pd renziano, come Lucca o Pisa. E qualcuno nel «Giglio magico» si domanda se davvero le difese sono sufficienti, in vista delle amministrative 2017.
È il caso di Lucca. Qui Andrea Marcucci, senatore e tra i fidatissimi di Renzi, ha subito l’onta della sconfitta. Il Pd qui ha litigato fino al giorno prima nonostante il sindaco, il prodiano Alessandro Tambellini, avesse dichiarato il suo appoggio alla riforma: troppo tiepido, secondo i renziani. Qui si vota, nel 2017. Stefano Baccelli, altro renziano, punta puntare alle primarie (che Tambellini non vuole). Tutto congelato prima del voto, congelato anche ora in vista di quello che succederà a Roma. Ma i litigi proseguono,
Altro fronte, quello di Massa Carrara. Qui il «big» Andrea Rigoni (ex Margherita) ha dichiarato ad agosto il suo Sì. Non si registrano però suoi grandi appelli al voto, molti dei suoi pare abbiano sostenuto il No, il cui capofila è stato l’ex sindaco di Montignoso Narciso Buffoni, dalemiano. Qui il No ha stravinto, massimo risultato in Toscana, nonostante il Pd avesse tra i suoi anche new entry come l’ex Sel Martina Nardi. A Carrara si vota, nel 2017. E il Pd deve scegliere il sindaco, anche se dà per persa la città: Enrico Rossi non la pensa così.
Un «rossiano» (ex dalemiano), Samuele Bertinelli, è sindaco a Pistoia. Pure lui schierato per il Sì «tiepido», ma molto di più di Tambellini: il rischio è di fare la stessa fine del collega di Lucca con la richiesta di primarie arrivata dall’ala renziana, capitanata da Massimo Baldi e Edoardo Fanucci, deputato ex consigliere comunale a Montecatini (dove il Sì ha perso). Meglio è andato il Sì ad Arezzo, dove l’asse renziana è rappresentata da Marco Donati e Luisa De Robertis. Qui il No nel Pd ha solo riservisti: è partito un appello di decine di ex amministratori capitanato dall’ex assessore regionale (oggi scrittore) Tito Barbini. In altri, come Grosseto e addirittura Livorno, non ci sono neanche tanti nomi noti, l’ex bersaniano Luca Sani era per il Sì: «Eppure — spiega Filippo Fossati della sinistra Pd schierata col No — si è risvegliata gente che non ti aspettavi, vecchi compagni e gente nuova». E altri che magari hanno avuto in passato un ruolo come, in Versilia, Bruna Dini o a Lucca Cecilia Carmassi (ex membro della segretaria Bersani).
Certo, la Toscana resta un feudo renziano, compresa Siena. Tutta la segreteria, capitanata da Dario Parrini, si è lanciata per il Sì. C’è, oltre la Firenze del sindaco Dario Nardella (il top per il Sì in Italia tra le grandi città), la Prato di Matteo Biffoni. Ma ci sono molte altre componenti: come i franceschiniani, rappresentati da Antonello Giacomelli, sottosegretario, e Caterina Bini, deputata. Ci sono pure i lettiani, almeno due: l’ex presidente della Provincia di Pisa e ora consigliere regionale Andrea Pieroni e il sindaco di Castelfranco di Sotto Gabriele Toti. Entrambi schierati per il Sì, ma sia a Pisa che a Castelfranco ha vinto il No. Pieroni ieri è partito all’attacco di Renzi: «No a elezioni anticipate. Renzi — scrive — deve avere ora l’umiltà di ammettere i propri errori di valutazione, di non aver capito gli umori autentici della gente, di non aver compreso che non si vive di sola rottamazione e giovanilismo!». Un altro ex Margherita come Paolo Bambagioni, anche lui schierato per il No, parla come un «no global»: in tanti hanno votato contro una riforma che «avrebbe rappresentato politicamente l’affermarsi di una democrazia con una forte leadership espressione di una cerchia ristretta di finanzieri e di lobby politico affaristiche». Monia Monni, collega in Palazzo Bastogi, renziana e anche lei della Piana (dove ha vinto il Sì), lo rimprovera: la sua dichiarazione è «offensiva per tutti i volontari e i militanti che hanno creduto che la Riforma costituzionale sarebbe stata un punto di partenza per il rilancio del Paese».
A provare a mediare, su questi fronti, prima del referendum ci aveva provata Elisa Simoni. Vicina ad Andrea Orlando dei Giovani Turchi,si è schierata per il Sì, ma in modo dialogante con i suoi «compagni-avversari» del No. «Non dobbiamo ripetere l’errore fatto dopo le regionali, far finta di nulla. E dire che si riparte col 40% ottenuto dal Sì è incoscienza, significa consegnare il Paese a Grillo».