Rita, nascosta in via Cavour
A 30 anni dal Nobel alla Levi-Montalcini il racconto dei suoi giorni in fuga dai nazisti Le lettere alla famiglia fiorentina che ospitò lei, la sorella e la mamma. E una dedica ritrovata
Ufficialmente erano delle sfollate, cattoliche pugliesi, dirette verso il Meridione. In realtà la loro origine era assai più problematica. E la signora Consilia l’aveva capito subito. Bastava guardarle, bastava sentirle parlare per rendersi conto che qualcosa non tornava.
Decise comunque di correre il rischio. Un rischio davvero grande, in quei tempi. Un rischio che da un momento all’altro poteva costare la vita a lei e ai suoi cari, complici in quello slancio di solidarietà. «Fino a quando le nubi non si diraderanno, fino a quando lo riterrete opportuno, potrete restare in questo appartamento» l’annuncio che fece alle tre donne braccate. Pur accennata in un capitolo di Elogio dell’imperfezione, la sua avvincente biografia pubblicata da Garzanti nel 1987, un anno dopo aver ottenuto il Nobel, la storia di salvezza fiorentina che vide protagonista Rita Levi-Montalcini, insieme a sua sorella Paola e alla madre Adele, non è molto conosciuta. «Colpa» anche della riservatezza dei discendenti di Consilia, che mai hanno voluto far sfoggio di questa vicenda. Vicenda che è però di stretta attualità nell’imminenza del trentesimo anniversario dal conferimento del Nobel per la Medicina (10 dicembre 1986) alla grande scienziata torinese. «È un argomento che stiamo affrontando da poco, in particolare da quando ho ritrovato alcune lettere che Rita scrisse alla nostra famiglia dopo la fine della guerra. Un ritrovamento emozionante, del tutto inaspettato», racconta Laura, una delle nipoti di Consilia. Rita, Paola e Adele alloggiarono per alcuni mesi in via Cavour, al civico 84, in una casa presa in affitto dalla famiglia Leoncini. Si era nel pieno delle persecuzioni antiebraiche, nella Firenze occupata dai tedeschi: i nazifascisti alla ricerca di nuove prede per alimentare la macchina annientatrice del Terzo Reich; i delatori sempre vigili, con l’obiettivo di procacciarsi cinquemila lire in cambio di una spiata. Tanto valeva la vita di un ebreo allora. Le tre donne erano fuggite da Torino con la speranza di trovare la salvezza al Sud, in mano agli Alleati. Ma il viaggio era lungo e pieno di ostacoli. Firenze fu così una sosta quasi inevitabile. E l’appartamento di via Cavour in cui vennero accolte si rivelò un ancoraggio sicuro, anche se non definitivo. Per prudenza dovettero infatti cambiare varie volte alloggio e fare affidamento anche su altre persone.
Ma la memoria di quei giorni in casa Leoncini, come provano le lettere, resterà sempre speciale. «Non dimenticheremo mai quei mesi passati insieme di tanta trepidazione, né potremo certo dimenticare con quanta ospitalità e gentilezza ci hanno accolto mentre fuori infuriava la grande bufera» scrive Rita nel gennaio del 1947, in un carteggio con la famiglia di Laura. La carriera della scienziata è a un punto di svolta. Pochi giorni e partirà alla volta di St. Louis, in Missouri. Pensa agli Stati Uniti come a una tappa di passaggio e invece la sua, come noto, diventerà una permanenza lunghissima. Trent’anni in tutto. In America troverà gratificazioni professionali e fama internazionale, obiettivi forse irraggiungibili
Parole e emozioni Non dimenticheremo mai con quanta gentilezza e ospitalità ci avete accolto
in patria. Ma ancora ovviamente non può saperlo. «Paola dipinge molto e ha grande successo. Io – scrive di sé Rita – sono sempre in laboratorio, circondata da una bella famiglioula di embrioni di pollo che crescono sani e prosperosi malgrado i miei interventi chirurgici molto demolitivi». Evocando le giornate trascorse in via Cavour, la Montalcini spiega che mamma Adele ricorda «con molta nostalgia» la sua stanza fiorentina. È questo perché, nonostante le molte minacce esterne, nonostante la condizione di clandestinità, «allora si viveva tutti insieme, e non capitava come adesso che io mi assenti per tutta la giornata, anche troppo assorbita dal mio lavoro». Aggiunge inoltre Rita: «Credo che se potesse vorrebbe ritornare a quei tempi e baratterebbe volontieri la grande stufa sempre affamata di legna con lo scaldino a carbone preparato con tanta cura dall’ottimo Ferruccio (il padre di Consilia). E io ripenso molto sovente alla terrazza fiorita dove ho passato tante ore serene in contemplazione, sdraiata al sole come una lucertola».
L’ultima sorpresa Laura l’ha avuta qualche giorno fa, mettendo ordine nella stanza del figlio Nicola. In un mucchio di libri, in quella posizione chissà da quanto, è spuntata una copia dell’autobiografia. La cercava da tempo senza fortuna, tanto che aveva quasi rinunciato. All’interno del volume c’è una dedica firmata a mano da Rita, che in poche ma emozionanti righe si rivolge a Cosetta (la figlia di Consilia) con «affetto» e «gratitudine». Le strade della vita e della professione pochi mesi prima l’hanno portata al riconoscimento più alto. Sono quindi giorni di grande impegno, di grande testimonianza in Italia e nel mondo. Ma è anche l’occasione per dire ancora grazie a chi c’è stato davvero, nel momento più duro.