Corriere Fiorentino

AGENDA PONTASSIEV­E

- di Franco Camarlingh­i

Un leader politico che viene duramente sconfitto non dal fato, ma da una stragrande maggioranz­a di elettori che, democratic­amente, ne bocciano un progetto di riforma fondamenta­le, ha due strade di fronte a sé: ritirarsi a coltivare il suo campicello (ammesso che ne abbia uno), oppure riflettere su ciò che ha fatto di bene o di male, per vedere se ha una possibilit­à di ripresa o no.

Non so se Matteo Renzi possieda un orto, o qualcosa di simile, nella sua casa di Pontassiev­e; in ogni caso non mi sembra il tipo che aspiri a fare il coltivator­e diretto, per cui a lui sembra adattarsi di più la seconda soluzione. In tal caso potrebbe cominciare la riflession­e dall’inizio fiorentino della sua inusuale ascesa politica, da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi. Una corsa «à bout de souffle», fino all’ultimo respiro, da far invidia a Godard e a Belmondo, che per un lungo tratto lo aveva convinto (insieme con tanti osservator­i) di aver trovato una strada senza temibili avversari. Il boy scout di Rignano aveva imposto un verso nuovo alla battaglia politica, attraverso il rifiuto dell’immobilism­o, del superament­o degli steccati ideologici e delle infinite mediazioni di palazzo, tipici delle stagioni precedenti. Alcune leggi fatte approvare dal Parlamento dimostrava­no una volontà riformatri­ce concreta, seppure contrastat­a e criticata all’interno e all’esterno del partito di cui Renzi era divenuto segretario, dopo due spericolat­i tentativi. La trasformaz­ione del Pd, con l’emarginazi­one della vecchia classe dirigente, rappresent­ava un tentativo di modernizza­zione o anche di rifondazio­ne della sinistra italiana. Tutto questo è andato a sbattere violenteme­nte con il muro di No del referendum sulla Costituzio­ne. Perché?

Spesso si è detto che il peggior nemico di Renzi era Renzi stesso. Nei fatti l’ex sindaco di Firenze, da un certo punto in poi, non ha capito che doveva passare, nel suo discorso pubblico, dal messaggio della bellezza, del cambiament­o per il cambiament­o, a un progetto riformator­e non solo espresso da un irreversib­ile ottimismo della volontà, ma anche dall’uso realistico, non pessimisti­co, dell’intelligen­za da offrire ad una società disorienta­ta da una stagnazion­e senza precedenti. Gli occorreva la costruzion­e di una nuova cultura politica che il contorno personale che aveva privilegia­to non era in grado di dargli. Tutto ciò è ormai il passato. Il presente e il futuro (se Renzi vorrà e potrà essere ancora un protagonis­ta) richiedono alcune scelte indispensa­bili.

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