AGENDA PONTASSIEVE
Un leader politico che viene duramente sconfitto non dal fato, ma da una stragrande maggioranza di elettori che, democraticamente, ne bocciano un progetto di riforma fondamentale, ha due strade di fronte a sé: ritirarsi a coltivare il suo campicello (ammesso che ne abbia uno), oppure riflettere su ciò che ha fatto di bene o di male, per vedere se ha una possibilità di ripresa o no.
Non so se Matteo Renzi possieda un orto, o qualcosa di simile, nella sua casa di Pontassieve; in ogni caso non mi sembra il tipo che aspiri a fare il coltivatore diretto, per cui a lui sembra adattarsi di più la seconda soluzione. In tal caso potrebbe cominciare la riflessione dall’inizio fiorentino della sua inusuale ascesa politica, da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi. Una corsa «à bout de souffle», fino all’ultimo respiro, da far invidia a Godard e a Belmondo, che per un lungo tratto lo aveva convinto (insieme con tanti osservatori) di aver trovato una strada senza temibili avversari. Il boy scout di Rignano aveva imposto un verso nuovo alla battaglia politica, attraverso il rifiuto dell’immobilismo, del superamento degli steccati ideologici e delle infinite mediazioni di palazzo, tipici delle stagioni precedenti. Alcune leggi fatte approvare dal Parlamento dimostravano una volontà riformatrice concreta, seppure contrastata e criticata all’interno e all’esterno del partito di cui Renzi era divenuto segretario, dopo due spericolati tentativi. La trasformazione del Pd, con l’emarginazione della vecchia classe dirigente, rappresentava un tentativo di modernizzazione o anche di rifondazione della sinistra italiana. Tutto questo è andato a sbattere violentemente con il muro di No del referendum sulla Costituzione. Perché?
Spesso si è detto che il peggior nemico di Renzi era Renzi stesso. Nei fatti l’ex sindaco di Firenze, da un certo punto in poi, non ha capito che doveva passare, nel suo discorso pubblico, dal messaggio della bellezza, del cambiamento per il cambiamento, a un progetto riformatore non solo espresso da un irreversibile ottimismo della volontà, ma anche dall’uso realistico, non pessimistico, dell’intelligenza da offrire ad una società disorientata da una stagnazione senza precedenti. Gli occorreva la costruzione di una nuova cultura politica che il contorno personale che aveva privilegiato non era in grado di dargli. Tutto ciò è ormai il passato. Il presente e il futuro (se Renzi vorrà e potrà essere ancora un protagonista) richiedono alcune scelte indispensabili.