Il voltafaccia della costa disillusa
La crisi economica, gli annunci disattesi, la «revanche» degli ex Pci Viaggio dentro la sconfitta del Pd renziano, da Massa a Grosseto
Raffineria Eni, Livorno. Ecco l’operaio Marco Ruggeri, 42 anni. Due anni fa, nella corsa alla poltrona di sindaco, fu sconfitto a sorpresa dal grillino Filippo Nogarin. Prese il 46,9% di voti contro il 53,1 del rivale. All’incirca la stessa forbice che, a Livorno, si è registrata tra il Sì (47,8) e il No (52,2) al referendum costituzionale. Passano gli anni ma il «partito» della rabbia, del disagio sociale e della protesta resta compatto. Un No preventivo, a prescindere. Perché? «La sinistra non rappresenta più le istanze di chi lavora. D’Alema e Bersani sembrano vivere in un altro mondo. Vengano a cogliere il disagio sociale, la rabbia di chi guadagna 800 euro al mese e deve pagarne 600 per il mutuo della casa…», risponde Ruggeri. Lui che, da segretario livornese dei Ds e da capogruppo regionale del Pd, è stato un D’Alema boys.
Il nostro viaggio lungo la costa che ha inferto a Renzi uno schiaffo gelido e tagliente come il vento di tramontana, non poteva partire che da Livorno, ex roccaforte rossa, luogo della speranza rivoluzionaria (qui, nel 1921, è nato il Pci) diventato luogo della depressione sociale. A Livorno la crisi la si coglie anche nei volti e nei corpi della gente, ha osservato sul Tirreno la scrittrice Eva Giovannini, colpita da un murale folgorante: «C’è crisi, si vede dai visi». Le facce di molti adolescenti sovrappeso. E quelle di quarantenni «con dentature già compromesse», per dire. Si fa un gran parlare della costruzione della Darsena Europa, un investimento di oltre 800 milioni, come carta del rilancio economico della città, ma Ruggeri scuote il capo: «C’è chi non sa come potrà mangiare domani, figurarsi se è interessata a cosa succederà chissà fra quanti anni».
All’interno delle province costiere (da Massa Carrara a Grosseto, da Lucca a Pisa) le ragioni della vittoria del No non sono univoche. Vanno dalla crisi economica al forte radicamento del M5S, dalle divisioni interne al Pd al riemergere del ceto legato alla tradizione politica nata, appunto, a Livorno con il Pci. «Un cocktail, una combinazione di fattori», spiega l’analista dei flussi elettorali Antonio Floridia. La crisi economica è impasto di numeri, ma anche di psicologie, stati d’animo. Questo spiega come Piombino e la Val di Cornia siano l’unica zona della costa dove il Sì ha vinto. Perché qui, spiega il sindaco di Piombino Massimo Giuliani, il rilancio delle Acciaierie (anche se Aferpi vacilla) e gli investimenti sul porto hanno rimesso in moto la speranza nell’uscita dalla crisi. In breve, il Pd tiene dove riesce a gestire la crisi e perde là dove i progetti annunciati non decollano o si perdono nelle nebbie dell’inconcludenza (Tirrenica a Grosseto, accordo di programma a Massa ).
In particolare la Maremma, osserva il capogruppo regionale del Pd Leonardo Marras, soffre il fatto di «non avere un luogo della speranza sociale, come un porto, un progetto industriale, una multinazionale con centinaia di posti di lavoro». E soprattutto patisce la sua emarginazione logistica. A Massa invece non decolla la reindustrializzazione dell’area dove fino agli Ottanta c’erano grandi fabbriche come la Farmoplant , la Dalmine, la Rumianca, la Cockeria apuana. E dove, simbolo di un fervore produttivo ormai perduto, svetta la torre della Fiat, 52 metri, voluta dagli Agnelli nel 1933 per ospitare i figli degli operai mentre loro vestivano alla marinara a Forte dei Marmi. Anche se, osserva l’economista Giorgio De Filippi, ha pesato nella vittoria del No, la più alta di tutta la Toscana (59,7 a Massa e 58,1 a Carrara), la forte tradizione politica della sinistra e degli ex Dc. Così come è forte qui, ma anche nel resto della costa, il M5S. Che nel 2013 alle politiche prese a Massa Carrara, per dire, appena 800 voti meno del Pd (29,21 contro il 29,94 piddino).
Il No vittorioso a Lucca e Pisa ha radici più politiche che economiche e sociali. Nell’ex isola bianca della Toscana ha pesato la divisione nel Pd in vista delle prossime elezioni comunali e insieme, aggiunge l’intellettuale Massimo Toschi, amico di Prodi, la tradizione del cattolicesimo democratico fondato sui valori della Resistenza e della Costituzione.
A Pisa è riemersa invece con forza la tradizione dell’ex Pci che si riconosce in D’Alema, che qui ha mosso i suoi primi passi politici. Così come nel voto del No, osserva il costituzionalista del Sant’Anna Emanuele Rossi, ha pesato la città del sapere — Università e Normale —, la forte presenza dell’Anpi, l’influenza di intellettuali come Salvatore Settis.
E dalle urne pisane sono uscite scintille tra il dalemiano Paolo Fontanelli e il renziano Antonio Mazzeo, che per il Pd non promettono nulla di buono in vista delle elezioni comunali del 2018. Anche se Mazzeo getta acqua sul fuoco: «Paolo è una persona intelligente e sicuramente troveremo un candidato sindaco condiviso», anticipa al Corriere Fiorentino. Il No della Costa evidenzia un Pd diviso, lacerato, ma soprattutto ripropone problemi annosi e irrisolti, giovani senza futuro, una società ferma. Tutti reclamano una scossa. Una grande scossa. Perché i visi della gente tornino a trasmettere voglia di futuro e non il senso cupo della crisi.
Marras La Maremma paga il non avere un luogo della speranza sociale, un porto, un progetto industriale, una multinazionale... Ruggeri La sinistra non rappresenta più le istanze di chi lavora Anche Bersani, D’Alema, vengano a cogliere il disagio sociale, la rabbia degli operai