A Prato corridoi vuoti e scatoloni «Tanti colleghi sono già fuggiti»
PRATO Gli scatoloni di cartone restano arrampicati ai muri affrescati dell’Ottocento, l’aria del trasloco permanente non se ne va. Saranno i giorni di vacanze del ponte dell’Immacolata, sarà il duraturo vento di protesta sui costi (utili? inutili?) di molti enti di secondo livello: sta di fatto che nelle ultime mattine, quando i dipendenti della Provincia di Prato varcano lo sfarzoso portone di Palazzo Banci Buonamici per strisciare il badge, non sanno bene se esserne contenti o meno.
L’esito del referendum del 4 dicembre li ha spiazzati, costringendoli a pensare a un nuovo periodo di trasformazione che arriva dopo un lungo ciclo dello stesso tenore. Un anno: tanto è passato da quando la legge vergata dall’ex sottosegretario (ed ex ministro) Graziano Delrio introdusse il cambiamento che la stessa norma indicava come «transitorio».
«Transitorio — spiega spazientito un dipendente che attraversa i corridoi vuoti a passo svelto — significa che si va da un punto ‘a’ ad un punto ‘b’, è un concetto molto semplice». Ma l’approdo è stato spostato di nuovo: a chissà dove, a chissà quando. E soprattutto chissà come, ora che le Province non chiudono più. «La riforma costituzionale — spiega ancora il funzionario — doveva mettere un punto. Doveva scrivere la parola fine su un periodo di mutazione, che in Toscana è significato svuotamento di molti uffici». Questa regione è stata infatti la più solerte nel redigere una legge che regolasse il cambiamento. Il passaggio di funzioni, accanto al lento prosciugamento delle finanze dell’ente, ha visto emigrare molti dipendenti in altri uffici.
Si sa bene che le piante organiche non corrispondono mai al personale effettivo, dunque è bene ricordare che a Palazzo Banci Buonamici, sino a qualche mese fa, lavoravano più di 150 persone. Se si tolgono i 9 dipendenti della polizia provinciale che stanno al piano di sotto, oggi, rimangono poco più di 30 dipendenti nel palazzo. Gli scatoloni di cartone che da mesi rimangono appoggiati nei corridoi, le opere d’arte con due dita di polvere sulle cornici, il magnifico giardino incolto che non può accogliere che lo sguardo malinconico dei pochi dipendenti, padroni di un palazzo che ha perso soprattutto il suo senso simbolico. E pensare che quella era diventata solo vent’anni fa la casa del potere economico del distretto che aveva saputo farsi riconoscere come Istituzione: oggi è il simbolo di una crisi che da economica è diventata politica e sociale.
«Molti di quelli che se ne volevano andare tra di noi — spiega un’altra dipendente — sono riusciti nel loro tentativo di ricollocamento in altri Comuni o negli uffici che ora sono della Regione (che sono — ironia della sorte — dall’altra parte della strada, in centro storico). Tuttavia ce ne sono altri che volevano andarsene e non ci sono riusciti». Sono quelli smarriti. O peggio arrabbiati. «Non si può continuare con questa situazione di indeterminatezza...», si sente bisbigliare quando si solleva l’argomento. «Ho letto che i dipendenti del Cnel hanno fatto dei trenini per festeggiare. Non so se fosse una battuta, ma qui — dice Giacomo — non si è festeggiato nulla. Per fare un trenino ci vogliono i vagoni».
Il periodo di ponte delle festività non aiuta, tuttavia chi si avventurava nel palazzo, nei giorni scorsi, poteva provare solo una sensazione di desolazione. La struttura, nonostante il rimaneggiamento di alcuni spazi che saranno a breve affittati, rimane grandissima rispetto al numero di impiegati.
I dipendenti, peraltro, continuano a svolgere le loro mansioni sui temi della scuola e delle strade, lavorando alacremente. Al computer, al telefono, alla fotocopiatrice, tra reclami per termosifoni rotti nelle scuole e frane da fronteggiare. Quelli a cui scadeva il contratto a tempo determinato hanno dovuto fare le valigie da un pezzo (tra loro anche i tre membri dell’ufficio stampa dell’ente), gli altri aspettano di sapere quale sarà il loro destino. «Abbiamo imparato a cercare le motivazioni dentro di noi, altrimenti avremmo già smesso».
I dipendenti del Cnel hanno fatto i trenini per festeggiare la non cancellazione? Noi no: siamo pochi, ci mancherebbero i «vagoni»