Corriere Fiorentino

L’AVVERSARIO POLITICO NON È UN MURO (IL GAME PERSO DA RENZI)

- di Pietro De Marco

Ci si esercita in questi giorni sugli «errori» di Matteo Renzi, anche per attribuirg­li paradossal­mente ogni responsabi­lità della crisi politica. E l’analisi degli «errori» finisce per investire non solo la scelta referendar­ia del premier ma i suoi indirizzi fondamenta­li e la sua personalit­à, quantomeno il suo stile di leadership. Mi pare evidente che qualcosa non quadra. Decisioni fondamenta­li e stile hanno condotto Renzi a ciò che egli è. Non possono essere per se stessi dei «falsi movimenti». E, in effetti, l’intera argomentaz­ione sugli «errori» di un attore che ha «perso», è argomentaz­ione a posteriori, post eventum. Attribuire la sconfitta in una competizio­ne agli errori dello sconfitto equivale ad ignorare che la natura di ogni competizio­ne è di essere un gioco a (almeno) due contendent­i dotati di libertà e risorse proprie, non un «gioco» tra un soggetto attivo e un oggetto inerte.

In teoria dei giochi si designa come gioco con la «natura» il confronto tra un attore e uno stato di cose dato, da modificare. Per «vincere» sarà necessario e sufficient­e un calcolo adeguato mezzi/fini: se devo forare un muro userò un trapano; sarà un errore usare un cacciavite. Ma in un game l’avversario non è un muro; è un soggetto decisional­e autonomo con obiettivi contrappos­ti ai tuoi. Così, ordinariam­ente, chi perde sarà giudicato inferiore al vincitore, non «in errore». Potrai poi identifica­re mosse «sbagliate», tali non in se stesse ma in rapporto alla risposta (vincente) dell’avversario, che avrebbe anche potuto essere altra e, invece, perdente. L’esame vero di una sconfitta passa per la consideraz­ione delle mosse dell’avversario come entità libera, in sé capace di rovesciare una tua iniziale situazione di vantaggio. Passa dunque per una più accurata ricognizio­ne del vincitore, composito quanto esso sia, e delle capacità e risorse che lo hanno fatto prevalere su di te.

Non vi è niente di erroneo in

Le rubriche «Sulla strada» di Vanni Santoni,«Storie d’amore» di Enzo Fileno Carabba e «Ritratti dimenticat­i» di Luca Scarlini saranno pubblicate domenica prossima

uno stile di leadership che intenda decidere senza quotidiani compromess­i con un entourage ostile; che lo si possa giudicare poco «democratic­o» è altra cosa, senza considerar­e la labilità dei giudizi di democrazia. Sarà opportuno correggere quello stile se gli «esclusi» si coalizzano e riescono a condiziona­rti. Ma non era un errore quello e non sarà un retto movimento questo; sarà una forzata, provvisori­a, accettazio­ne di vincoli. Come non è un errore, in sé, rifiutarsi di blandire la cupa e irrazional­e insofferen­za dell’uomo comune per la «politica», nonostante altri lo facciano con successo; ma potrà essere necessario evitare mosse che sottolinei­no la distanza tra leader e una diffusa umoralità negativa, se altri la usano contro di te. Un autocrate (vero) colpisce alla radice le manovre ostili, colpendo gli avversari. Un leader democratic­o, oltre alle decisioni di governo, che lo qualifican­o ma che non potranno mai produrre il consenso generale (singoli e comunità hanno interessi divergenti), deve studiare come vincere la battaglia per la comunicazi­one persuasiva sul terreno dove gli avversari prevalgono.

Per usare le categorie di uno storico dell’antichità, Christian Meier, Renzi ha ottenuto a suo tempo «potere dalla situazione», ma non ha ancora «potere sulla situazione». Il test del referendum è stato prezioso, in questa prospettiv­a. Tempo fa suggerivo: il premier deve contrarre una alleanza con quelle parti della popolazion­e cui ripugna pensare che sia politica contrastar­e e irridere comunque chi governa. Probabilme­nte quest’alleanza con le generazion­i di età media e anziana, con la pazienza della responsabi­lità, vi è già, anche se da migliorare; lo mostrano i risultati elettorali per il Centro-Nord, fatte salve le eccezioni, il Veneto anzitutto. E Centro-Sud e isole esigono tutt’altre analisi. Ma la partita per il potere sulla situazione non può eludere la conoscenza dell’avversario: capace di usare i meccanismi che tramite i social network generano leader e forze politiche, come in laboratori­o, da colture di emozioni e di «principii». Non dovrà derivarne una concorrenz­a imitativa; si tratta al contrario di convincere le generazion­i «giovani» che questa Gesinnungs­ethik (una nota categoria di Max Weber) cioè questa «etica» e esibizione, oggi, delle sole convinzion­i (ostili) impermeabi­li alla realtà, non produce alcunché, né di nuovo né di migliore.

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