L’AVVERSARIO POLITICO NON È UN MURO (IL GAME PERSO DA RENZI)
Ci si esercita in questi giorni sugli «errori» di Matteo Renzi, anche per attribuirgli paradossalmente ogni responsabilità della crisi politica. E l’analisi degli «errori» finisce per investire non solo la scelta referendaria del premier ma i suoi indirizzi fondamentali e la sua personalità, quantomeno il suo stile di leadership. Mi pare evidente che qualcosa non quadra. Decisioni fondamentali e stile hanno condotto Renzi a ciò che egli è. Non possono essere per se stessi dei «falsi movimenti». E, in effetti, l’intera argomentazione sugli «errori» di un attore che ha «perso», è argomentazione a posteriori, post eventum. Attribuire la sconfitta in una competizione agli errori dello sconfitto equivale ad ignorare che la natura di ogni competizione è di essere un gioco a (almeno) due contendenti dotati di libertà e risorse proprie, non un «gioco» tra un soggetto attivo e un oggetto inerte.
In teoria dei giochi si designa come gioco con la «natura» il confronto tra un attore e uno stato di cose dato, da modificare. Per «vincere» sarà necessario e sufficiente un calcolo adeguato mezzi/fini: se devo forare un muro userò un trapano; sarà un errore usare un cacciavite. Ma in un game l’avversario non è un muro; è un soggetto decisionale autonomo con obiettivi contrapposti ai tuoi. Così, ordinariamente, chi perde sarà giudicato inferiore al vincitore, non «in errore». Potrai poi identificare mosse «sbagliate», tali non in se stesse ma in rapporto alla risposta (vincente) dell’avversario, che avrebbe anche potuto essere altra e, invece, perdente. L’esame vero di una sconfitta passa per la considerazione delle mosse dell’avversario come entità libera, in sé capace di rovesciare una tua iniziale situazione di vantaggio. Passa dunque per una più accurata ricognizione del vincitore, composito quanto esso sia, e delle capacità e risorse che lo hanno fatto prevalere su di te.
Non vi è niente di erroneo in
Le rubriche «Sulla strada» di Vanni Santoni,«Storie d’amore» di Enzo Fileno Carabba e «Ritratti dimenticati» di Luca Scarlini saranno pubblicate domenica prossima
uno stile di leadership che intenda decidere senza quotidiani compromessi con un entourage ostile; che lo si possa giudicare poco «democratico» è altra cosa, senza considerare la labilità dei giudizi di democrazia. Sarà opportuno correggere quello stile se gli «esclusi» si coalizzano e riescono a condizionarti. Ma non era un errore quello e non sarà un retto movimento questo; sarà una forzata, provvisoria, accettazione di vincoli. Come non è un errore, in sé, rifiutarsi di blandire la cupa e irrazionale insofferenza dell’uomo comune per la «politica», nonostante altri lo facciano con successo; ma potrà essere necessario evitare mosse che sottolineino la distanza tra leader e una diffusa umoralità negativa, se altri la usano contro di te. Un autocrate (vero) colpisce alla radice le manovre ostili, colpendo gli avversari. Un leader democratico, oltre alle decisioni di governo, che lo qualificano ma che non potranno mai produrre il consenso generale (singoli e comunità hanno interessi divergenti), deve studiare come vincere la battaglia per la comunicazione persuasiva sul terreno dove gli avversari prevalgono.
Per usare le categorie di uno storico dell’antichità, Christian Meier, Renzi ha ottenuto a suo tempo «potere dalla situazione», ma non ha ancora «potere sulla situazione». Il test del referendum è stato prezioso, in questa prospettiva. Tempo fa suggerivo: il premier deve contrarre una alleanza con quelle parti della popolazione cui ripugna pensare che sia politica contrastare e irridere comunque chi governa. Probabilmente quest’alleanza con le generazioni di età media e anziana, con la pazienza della responsabilità, vi è già, anche se da migliorare; lo mostrano i risultati elettorali per il Centro-Nord, fatte salve le eccezioni, il Veneto anzitutto. E Centro-Sud e isole esigono tutt’altre analisi. Ma la partita per il potere sulla situazione non può eludere la conoscenza dell’avversario: capace di usare i meccanismi che tramite i social network generano leader e forze politiche, come in laboratorio, da colture di emozioni e di «principii». Non dovrà derivarne una concorrenza imitativa; si tratta al contrario di convincere le generazioni «giovani» che questa Gesinnungsethik (una nota categoria di Max Weber) cioè questa «etica» e esibizione, oggi, delle sole convinzioni (ostili) impermeabili alla realtà, non produce alcunché, né di nuovo né di migliore.