Abusi e schiavitù, 15 anni al prete diventato santone
Cortona, 15 anni all’uomo che aveva creato una setta: giustificava le violenze sessuali come esorcismi
Quindici anni per il santone Mauro Cioni e assoluzione con formula piena per il suo discepolo Carlo Carli. Ieri pomeriggio la Corte d’Assise di Arezzo, presieduta da Silverio Tafuro, ha pronunciato la sentenza sulla vicenda della setta di Montecchio, a Cortona, una comunità dalle strane teorie teologiche e «resa schiava» dalla sua guida spirituale.
Quindici anni per il santone Mauro Cioni e assoluzione con formula piena per il suo discepolo Carlo Carli. Ieri pomeriggio la Corte d’Assise di Arezzo, presieduta da Silverio Tafuro, ha pronunciato la sentenza sulla vicenda della setta di Montecchio, a Cortona, una comunità dalle strane teorie teologiche e «resa schiava» dalla sua guida spirituale. Accolte dunque in parte le tesi della pm Angela Pietroiusti che, al termine della sua requisitoria, aveva chiesto per Cioni la condanna a 15 anni, mentre per Carli 12 anni di reclusione. Quest’ultimo è stato invece scagionato «perché il fatto non sussiste».
Nel convento di Montecchio si consumarono violenze fisiche e psicologiche che, secondo l’accusa, sarebbero state inflitte, giorno dopo giorno, agli adepti costretti, in alcuni casi, a pratiche sessuali. Secondo quanto emerso e in base alle indagini condotte dalla Dda di Firenze, i fedeli vivevano in una condizione di sudditanza psicologica che sarebbe sfociata in schiavitù. Il santone è stato anche condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e a tre anni di libertà vigilata. Cioni, ex sacerdote dell’Empolese, oggi ultra 70enne, si trasferì nella periferia di Montecchio nei primi anni 80, dopo aver gettato la tonaca. Insieme a lui un gruppo di fedeli i quali misero in comune soldi e proprietà e interruppero ogni relazione familiare, sociale e lavorativa per portare avanti un progetto collettivo.
Fin dall’inizio circolavano strane voci nel piccolo paese di Montecchio, ma la comunità si chiuse verso il mondo esterno quasi per proteggersi da certe malignità. Cioni riuscì addirittura a sposarsi a Camucia con rito cattolico. Poi, nel 2000, scoppiò il primo scandalo che mise a dura prova il delicato equilibrio della setta: un giovane ventenne si sparò con il fucile e Mauro Cioni venne indagato per istigazione al suicidio. Ne uscì pulito.
Il santone riprese il controllo e continuò a guidare la comunità per altri 9 anni fino a che non avvenne la scissione interna e esplose lo scandalo: Carlo Carli, il suo allievo prediletto e il più devoto, decise di lasciare Montecchio insieme all’ex moglie e alla nuova compagna e di fondare un nuovo ordine a Siena. Cinque o sei donne confessarono gli abusi sessuali subiti, riti giustificati come esorcismi contro il demonio. La prima a rompere il silenzio fu un’ex maestra e insegnante di catechismo che, nella ricerca di una sua dimensione spirituale, aveva lasciato casa e famiglia nel 1989 e aveva seguito l’ex parroco a Cortona. Secondo il suo racconto, Cioni, dopo averla terrorizzata e soggiogata, la costringeva a umilianti prestazioni sessuali per scacciare il diavolo che si nascondeva dentro di lei. Le impedì persino di andare al funerale del marito. Sconvolgente anche la testimonianza di un’altra vittima che si era avvicinata alla setta quando ancora aveva 15 anni. Per curarle il mal di schiena, il santone le massaggiava il seno e la toccava in altre parti del corpo. La ragazza, spaventata, non riusciva a lasciare la setta.
Adesso il santone, oltre ai 15 anni di reclusione, dovrà riconoscere 60 mila euro di provvisionale alle parti civili, le cinque donne che hanno raccontato gli abusi. Quasi scontata la richiesta d’appello da parte della difesa di Cioni dato che, secondo quanto sempre sostenuto dall’ex sacerdote, non ci furono costrizioni. La difesa di Cioni chiedeva l’assoluzione perché «i rapporti sessuali erano consenzienti così come entrare a far parte della comunità».
«La sentenza di un processo non è mai scontata — ha commentato invece il legale di Carli Massimo Megli — ma, in questo caso, era, quantomeno, auspicabile. La posizione del mio cliente era tale che, a nostro avviso, neanche doveva andare a processo. Ovviamente adesso c’è piena soddisfazione e siamo contenti per Carli e la sua famiglia». Ma la Corte d’Assise si è espressa diversamente.