Di lotta e di governo Valeria la rossa al fronte della scuola
Una vita nella Cgil Eletta nel 2013 in Toscana Vicina al governatore, poi il cambio di rotta
Gli italiani iniziarono a familiarizzare con la sua chioma rossa durante i giorni dell’elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica. Con Piero Grasso facente funzione al Quirinale, per molti giorni in diretta tv fu lei — quale vice presidente del Senato — a sedersi accanto a Laura Boldrini sullo scranno più alto di Montecitorio.
Valeria Fedeli, 67 anni, nata a Bergamo ma eletta in Toscana con il Pd, è il nuovo ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Prende il posto di un’altra toscana, la lucchese Stefania Giannini. La nomina di Fedeli è forse la novità più importante della nuova squadra di governo di Paolo Gentiloni. La scuola è infatti un fronte su cui il Pd è naufragato: gli insegnanti — storico bacino elettorale del centrosinistra — secondo tutti gli istituti demoscopici hanno votato in blocco No alla riforma costituzionale, facendo emergere il malessere della categoria verso l’esecutivo. E durante il discorso delle dimissioni, tra le molte leggi citate da Matteo Renzi per rivendicare il buon lavoro del suo governo, la «Buona scuola» è stata la grande assente. Segno che qualcosa non ha funzionato. Fedeli, con i suoi 30 anni da sindacalista nella Cgil, sembra rispondere al profilo giusto per ricucire lo strappo consumato.
Sulla Buona Scuola, il governo «ha sbagliato all’inizio, partendo senza confronto. Doveva spiegare meglio questa sfida decisiva a famiglie, studenti, docenti», disse proprio Fedeli in un’intervista di un anno fa al Corriere Fiorentino. Insomma, il mantra della sua nomina a ministro è ripartire dal dialogo con la base. E Fedeli di dialogo — sindacale e politico — se ne intende: già presidente del sindacato tessile europeo e vicepresidente del sindacato europeo dell’industria, nel 2013 fu nominata capolista del Pd al Senato in Toscana, in quota «cuperliana».
Moglie del senatore uscente Achille Passoni, era vicinissima al governatore Enrico Rossi. Nel 2014, con la prima partecipazione a una Leopolda, ha sposato la causa di Renzi, prima da «moderata», poi da «renziana doc». Tanto da liquidare un anno fa l’annuncio dell’autocandidatura di Enrico Rossi a segretario Pd con un «non capisco bene a chi si rivolge». Ora, per lei, teorica del dialogo tra politica e sindacato nelle reciproca autonomia, il compito di ricomporre lo strappo tra il Pd e il mondo della scuola.
La ferita che invece la nomina di Fedeli (che si definisce «pragmatica, femminista, riformista e di sinistra») potrebbe riaprire è quella con la destra cattolica, per le sue posizioni liberal sui temi etici: non tanto per il disegno di legge sulla regolamentazione della prostituzione, e neppure per la difesa della Cirinnà, con la recente provocazione rivolta alla sindaca leghista di Cascina Susanna Ceccardi («Se non vuole celebrare le unioni civili, andrò io a farlo al suo posto»), quanto per un suo disegno di legge sull’«attuazione dei principi delle pari opportunità». Quelle norme, poi finite nella Buona Scuola, sono state accusate di voler sostenere la «teoria gender» e di creare confusione nell’identità sessuale dei bambini. Ma lei ha sempre ribattuto che si tratta solo di affermare «le pari opportunità tra uomini e donne, contro la violenza e le discriminazioni».