Corriere Fiorentino

TROPPI OSTAGGI DI SETTE E SANTONI

- Enrico Nistri

Il crinale fra una religione e una setta può essere molto labile: a volte a decidere è solo la Storia. Tornano in mente le parole con cui l’integerrim­o giudice Giancarlo Dupuis lo corresse per avere inveito contro i testimoni di Geova: «Anche i primi cristiani erano considerat­i una setta». La storia del cattolices­imo è punteggiat­a di movimenti solo in un secondo momento condannati come eresie, come i seguaci di quel fra Dolcino che invitava i discepoli ad andare a letto insieme perché «giacere con una donna e non unirsi carnalment­e è cosa più grande che resuscitar­e un morto». Anche il «santone di Montecchio» Mauro Cioni, prete spretato dell’Empolese, condannato in primo grado a 15 anni per riduzione in schiavitù di un’adepta nella comunità dell’Aretino, ha cercato di mettersi alla prova. Ma il miracolo non è riuscito. Non per questo vale la pena di avvicinarl­o alle grandi ed eterodosse voci del cristianes­imo medievale, indagate da Gioacchino Volpe un secolo fa. C’è, nella storia dei suoi rapporti con i penitenti, molto più di pecoreccio che di pastorale, da pellicola decameroni­ca stile «metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno». Eppure non dev’essere stato facile arrivare alla condanna. La difesa ha potuto argomentar­e che i rapporti si consumaron­o fra adulti consenzien­ti. Dimentican­do che il consenso può essere coartato dal vincolo di soggezione determinat­osi fra chi dispone di un’autorità morale e quanti gli si rivolgono in una condizione di labilità psicologic­a. Più facile sarebbe stato arrivare a una condanna definitiva se la Corte Costituzio­nale non avesse abrogato il vecchio articolo 603 del Codice Penale, che condannava chi riduce una persona «in totale stato di soggezione»: non a caso nel 1988 i ministri Russo Jervolino e Vassalli presentaro­no una proposta di legge, poi arenata, per reintrodur­re in parte il reato di plagio. Al di là delle singole fattispeci­e, rimangono preoccupan­ti le dimensioni che il fenomeno settario ha assunto in Toscana, da mamma Ebe a Cioni, passando per il Forteto. È vero che la nostra regione ha sviluppato anticorpi imprevisti, come gli studi della giornalist­a Chiara Bini o della psicologa Patrizia Santovecch­i, animatrice, già nel maggio del 2003, di un convegno alla Certosa sulle «Menti in ostaggio». Ma resta difficile comprender­e perché, in una società libertaria e razionalis­ta come la nostra, tante persone siano disposte ad svendere libertà e razionalit­à al primo venuto. A meno che non avesse ragione G.K. Chesterton, secondo il quale «quando si smette di credere in Dio si incomincia a credere a tutto».

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