TROPPI OSTAGGI DI SETTE E SANTONI
Il crinale fra una religione e una setta può essere molto labile: a volte a decidere è solo la Storia. Tornano in mente le parole con cui l’integerrimo giudice Giancarlo Dupuis lo corresse per avere inveito contro i testimoni di Geova: «Anche i primi cristiani erano considerati una setta». La storia del cattolicesimo è punteggiata di movimenti solo in un secondo momento condannati come eresie, come i seguaci di quel fra Dolcino che invitava i discepoli ad andare a letto insieme perché «giacere con una donna e non unirsi carnalmente è cosa più grande che resuscitare un morto». Anche il «santone di Montecchio» Mauro Cioni, prete spretato dell’Empolese, condannato in primo grado a 15 anni per riduzione in schiavitù di un’adepta nella comunità dell’Aretino, ha cercato di mettersi alla prova. Ma il miracolo non è riuscito. Non per questo vale la pena di avvicinarlo alle grandi ed eterodosse voci del cristianesimo medievale, indagate da Gioacchino Volpe un secolo fa. C’è, nella storia dei suoi rapporti con i penitenti, molto più di pecoreccio che di pastorale, da pellicola decameronica stile «metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno». Eppure non dev’essere stato facile arrivare alla condanna. La difesa ha potuto argomentare che i rapporti si consumarono fra adulti consenzienti. Dimenticando che il consenso può essere coartato dal vincolo di soggezione determinatosi fra chi dispone di un’autorità morale e quanti gli si rivolgono in una condizione di labilità psicologica. Più facile sarebbe stato arrivare a una condanna definitiva se la Corte Costituzionale non avesse abrogato il vecchio articolo 603 del Codice Penale, che condannava chi riduce una persona «in totale stato di soggezione»: non a caso nel 1988 i ministri Russo Jervolino e Vassalli presentarono una proposta di legge, poi arenata, per reintrodurre in parte il reato di plagio. Al di là delle singole fattispecie, rimangono preoccupanti le dimensioni che il fenomeno settario ha assunto in Toscana, da mamma Ebe a Cioni, passando per il Forteto. È vero che la nostra regione ha sviluppato anticorpi imprevisti, come gli studi della giornalista Chiara Bini o della psicologa Patrizia Santovecchi, animatrice, già nel maggio del 2003, di un convegno alla Certosa sulle «Menti in ostaggio». Ma resta difficile comprendere perché, in una società libertaria e razionalista come la nostra, tante persone siano disposte ad svendere libertà e razionalità al primo venuto. A meno che non avesse ragione G.K. Chesterton, secondo il quale «quando si smette di credere in Dio si incomincia a credere a tutto».