CHE PARADOSSO SULLA SCUOLA
La lucchese Stefania Giannini è stato l’unico ministro del governo Renzi a restare fuori dal governo Gentiloni. Non poteva esserci smentita più netta, ma anche facile e ingenerosa, del suo operato al dicastero dell’Istruzione. Forse il quadro delle responsabilità per tante olemiche è però più complesso. Fin dall’inizio Renzi aveva investito molto sulla «buona scuola». La sconfitta al referendum, invece, è almeno in parte legata alle proteste di questo mondo. Eppure da decenni non si assisteva a una così massiccia immissione in ruolo di insegnanti e a un tale impegno di spesa a sostegno dell’autonomia scolastica, del piano digitale, della formazione dei docenti (la sola spesa per la formazione dei docenti in servizio è passata da 18,5 milioni nel triennio 2013-16 a oltre 1,5 miliardi nel triennio 2016-18, se si tiene conto del bonus annuale di 500 euro della carta del docente). Ed è stato anche avviato il rinnovo del contratto nazionale, fermo da sette anni. La ribalta è stata occupata, al contrario, dall’immagine di una scuola «devastata» da docenti «deportati», algoritmi sbagliati, concorsi troppo rigidi, presidi «sceriffi», trasmessa dalle più diverse sigle sindacali, spesso in difesa di interessi tra loro contrapposti ma unite contro la riforma. Mentre a pochi giorni dal Natale, come ha documentato domenica scorsa questo giornale, ci sono ancora tante cattedre scoperte. Perché la «buona scuola» non ha funzionato? Tralasciamo gli errori tecnici, che pure ci sono stati, e l’inefficacia della comunicazione. Le parole d’ordine erano e rimangono condivisibili: scomparsa del precariato, valorizzazione del merito, maggiore integrazione tra percorsi di studio e lavoro, centralità della formazione per tutti i docenti. Ma la loro attuazione ha trovato numerosi ostacoli, anche amministrativi, ed è rimasta in larga parte sulla carta. Il punto di crisi sta probabilmente nel mancato coinvolgimento diretto dei docenti, veri attori del sistema scolastico, a vantaggio di una sciagurata consultazione online, voluta da Palazzo Chigi, ma più adatta alla strumentalizzazione politica che a un confronto serio. E troppo a lungo il problema emergente è stato la stabilizzazione dei precari. Sarebbe stato sufficiente frequentare di più le scuole per cogliere disillusione, disinteresse, rabbia. Una parte dei docenti più anziani è frustrata e attende soltanto la pensione. Una parte dei docenti neoassunti spesso vede l’insegnamento come un ripiego che però può garantire un’assunzione a tempo indeterminato. La parte dei docenti più attiva e propensa al cambiamento, che da decenni lavora, spesso in solitudine, per migliorare l’attività didattica, non è stata valorizzata dalla riforma, né con una prospettiva di carriera, né con premi. Il bonus per il merito è stato distribuito a pioggia o con criteri poco chiari. Tutta colpa di Stefania Giannini?