Corriere Fiorentino

«Riparto da un lavoro a Firenze per riscattare i sacrifici di Modou»

Cinque anni fa la strage razzista di piazza Dalmazia, parla la vedova di una delle vittime

- di Jacopo Storni Jacopo Storni

 Speranze Adesso vorrei che anche nostra figlia mi raggiunges­se qui per completare gli studi

Firenze è la città dove è stato barbaramen­te ucciso suo marito. Ma Firenze, a cinque anni di distanza da quella tragica strage che rimbalzò sui media di tutto il mondo, è anche la città che le promette un futuro di speranza. Rokhaya, vedova di Modou Samb, riparte proprio da qui.

«Grazie Firenze» ripete sorridendo, tentando di scacciare i fantasmi del passato. Vive in via Palazzuolo, in un piccolo appartamen­to messo a disposizio­ne dalla Caritas. Segue corsi intensivi di lingua italiana. È inserita nel progetto Polis del Comune di Firenze, in virtù del quale sta svolgendo un tirocinio formativo come cameriera ai piani in un importante albergo della città. Sei ore al giorno di formazione, in attesa di essere pronta per essere assunta: «Mi piace questo lavoro, sto imparando giorno dopo giorno». Rokhaya si applica, osserva, ascolta i Cinque anni dalla strage di piazza Dalmazia. A ricordare i due cittadini senegalesi, Modou Samb e Mor Diop, uccisi dalla follia razzista di Gianluca Casseri, ieri c’erano i gonfaloni di Firenze e della Toscana, la presidente del Consiglio comunale Caterina Biti, il console del Senegal Eraldo Stefani e alcuni consigli dei suoi tutor. E tra qualche mese, se tutto andrà come previsto, potrebbe firmare un contratto di lavoro. «Così — sospira — renderò giustizia a mio marito, darò un rappresent­anti della comunità senegalese e Rokhaya Mbengue, vedova di Modou Samb, l’assessore all’Istruzione di Scandicci Diye Ndiaye e l’imam Izzedin Elzir. Il Rettore dell’Università di Firenze Luigi Dei, ha letto un brano di Lacrime di Sale del medico di Lampedusa Pietro Bartolo. (J.A.) senso a tutti i suoi sacrifici e, per quanto possibile, riscatterò la brutale morte che ha trovato in piazza Dalmazia». Modou Samb era emigrato dal Senegal in Italia per cercare lavoro. Era arrivato alla fine degli anni Novanta, per garantire un futuro dignitoso alla sua famiglia. Il destino lo portò a Firenze, dove aveva alcuni amici e dove cominciò la vita sui marciapied­i come venditore ambulante.

«I suoi soldi — ricorda la vedova — servivano per far vivere le nostre famiglie in Senegal. Era un uomo molto umile e generoso, grazie a lui riuscivamo a sopravvive­re». Rokhaya viveva delle rimesse del marito, che è rimasto in Italia per oltre dieci anni. Preferiva mandare i soldi a casa, piuttosto che spenderli per pagarsi un biglietto per l’aereo che lo avrebbe riportato in Africa. Era anche senza permesso di soggiorno, e il rientro in patria poteva costargli il futuro in Italia. E quei risparmi che mandava alla sua famiglia. «Però mi telefonava tutti i giorni, vedeva nostra figlia crescere in foto, ascoltava la sua voce che diventava adulta». Oggi Fatou ha 17 anni e continua a vivere in Senegal. È rimasta in patria senza genitori. Dopo l’uccisione del padre, la mamma ha seguito le orme del marito per consentire alla figlia un futuro diverso, lontano dagli stenti. «È stato un grande sacrificio lasciare mia figlia in Africa — confessa Rokhaya — vorrei che crescesse in Italia, accanto a me, vorrei che studiasse a Firenze, però non è semplice farla venire qui. Vorrei riabbracci­arla, ma non posso tornare, voglio lavorare in Italia per mandarle i soldi a casa». La speranza è quella del ricongiung­imento familiare, a cui sta lavorando intensamen­te Diye Ndiaye, l’assessora senegalese di Scandicci e portavoce dell’associazio­ne dei senegalesi di Firenze, in costante contatto con la Prefettura per tentare si sveltire le pratiche burocratic­he e superare le difficoltà legislativ­e.

Ieri mattina, Rokhaya ha deposto un mazzo di fiori sul luogo della strage. Ogni volta per lei tornare in piazza Dalmazia è una ferita che si riapre. L’incubo del razzismo che torna a galla: «Ho paura, il dolore è ancora forte, ma vado avanti». Quel giorno di cinque anni fa, lei era in Senegal. Stava tornando dal mercato, quando trovò una strana folla accanto a casa sua. La television­e stava cominciand­o a passare la notizia della strage, immagini terribili che provocaron­o choc in tutto il mondo. Poi arrivò la telefonata del cugino che viveva in Italia, e la tragica conferma. Rimase chiusa in casa per molti mesi, poi trovò il coraggio di prendere l’aereo e venire a Firenze. Da quel giorno è rimasta in Toscana. Prima nella casa di Pontedera di suo cugino. Poi di nuovo a Firenze. «Questa è diventata la mia casa». Soffre ancora Rokhaya, ma è una donna forte e coraggiosa: «Il mio futuro è Firenze». Qui è morto suo marito, cinque anni fa, ma questa è anche la città che segna la sua lenta, ma caparbia rinascita.

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 ??  ?? Un momento della cerimonia di ieri in piazza Dalmazia
Un momento della cerimonia di ieri in piazza Dalmazia
 ??  ?? 13 dicembre 2011 La prima pagina del Corriere Fiorentino che riporta la notizia della strage di via Dalmazia, sopra le due vittime della follia razzista di Gianluca Casseri. Nella foto grande Rokhava, vedova di Modou Samb, in piazza Dalmazia
13 dicembre 2011 La prima pagina del Corriere Fiorentino che riporta la notizia della strage di via Dalmazia, sopra le due vittime della follia razzista di Gianluca Casseri. Nella foto grande Rokhava, vedova di Modou Samb, in piazza Dalmazia
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