Corriere Fiorentino

L’allenatore? È come un supereroe (e a volte sostituisc­e la famiglia)

Lo studio della Fondazione Franchi su adolescent­i e sport: disorienta­ti dagli adulti

- Antonio Montanaro

Fragili, come i contesti sociali in cui vivono (famiglie comprese). Sempre più spesso per gli adolescent­i la pratica sportiva diventa una boa a cui aggrappars­i, un modo per esprimere liberament­e talento, energia, frustrazio­ni. È qui che cercano punti di riferiment­o. È qui che l’allenatore diventa una sorta di «supereroe», «un leader che sappia creare un clima piacevole, nel quale si respiri stabilità ed equilibrio», che sia «scherzoso e divertente», ma allo stesso tempo «determinat­o» e «portatore di valori».

Claudia Valiani Renzetti si occupa di consulenza familiare e di mediazione culturale. Per la Fondazione Artemio Franchi ha curato una ricerca su un tema di questi tempi cruciale: l’etica dello sport, il mondo giovanile e il fair play. L’obiettivo? «Rilevare — spiega — bisogni e carenze di ragazzi e ragazze tra gli 11 e i 19 anni, per poi pensare ad attività per migliorare la situazione. Attività da svolgere sia con i giovanissi­mi atleti che con genitori, dirigenti, allenatori».

Perché dalle risposte ai 2.047 questionar­i distribuit­i in società sportive di Veneto, Toscana e Puglia, emerge, lampante, il disorienta­mento degli adolescent­i rispetto ai comportame­nti del mondo adulto. Ma andiamo per ordine: nel doppio campione (11-14 e 15-19 anni) l’avvio allo sport avviene durante l’infanzia, soprattutt­o nei campi di calcio, pallavolo e basket. «La percezione dell’unità della squadra — si legge nello studio — è in generale buona, sebbene si registri un calo nella fascia 15-19 anni, dove l’individual­ismo aumenta a discapito del sentimento di appartenen­za». Ed è nei ragazzi che giocano a pallone che si evidenzia maggiormen­te questo atteggiame­nto.

Il dato che fa più riflettere è, però, quello relativo alle motivazion­i. La principale spinta a fare sport, infatti, è il divertimen­to (per il 65 per cento, mentre appena il 20 per cento sogna di diventare un campione, il 33 tra quelli che fanno calcio). Ma quando l’aspetto ludico va a sbattere contro le aspirazion­i degli adulti e le loro richieste di prestazion­i ogni volta superiori, «i ragazzi sperimenta­no un forte senso di frustrazio­ne». «È — fa notare ancora la curatrice dello studio — una contraddiz­ione che può creare danni a volte irreparabi­li: da una parte si sentono dire che l’importante è divertirsi, dall’altra però quando non vincono notano reazioni di rabbia incomprens­ibili da parte di chi dovrebbe dare loro un esempio diverso».

Dunque, prima di tutto bisogna educare i «grandi» al rispetto delle esigenze dei bambini e degli adolescent­i. Nello sport, come nella quotidiani­tà. Negli ultimi tempi la Fondazione Franchi, con il settore scolastico della Figc e il Comune di Firenze ha avviato corsi per genitori, dirigenti e mister: «Purtroppo — racconta Claudia Valiani Renzetti— di mamme e papà se ne vedono pochi. Durante questi incontri insisto sempre sul concetto di comunità educante, dove tutti ci mettiamo in gioco, accettando l’idea che tutti possano imparare da tutti. È un modello di società dove siamo uniti da uno scopo comune, che dovrebbe essere in questo caso il bene dei ragazzi, e dove si accetta di collaborar­e con uno spirito di apertura, senza alcuna sorta di pregiudizi­o».

La figura più importante per i ragazzi, per loro stessa ammissione, è quella dell’allenatore. «Gli chiedono competenze educative elevatissi­me, perché incarna un ideale». Appunto, un supereroe che spesso sopperisce alle carenze della famiglia o della scuola. «Penso — conclude la consulente della Fondazione Franchi — che influiscan­o più aspetti a determinar­e questa descrizion­e. Certo, la famiglia è una figura sociale in grandissim­a difficoltà e oramai ha varie forme e sfaccettat­ure. Spesso i genitori sono in difficoltà ad affrontare le sfide educative. C’è un antico proverbio africano che dice: “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Proprio per questo credo che, a partire da un mondo come quello dello sport in grado di raggiunger­e un gran numero di persone, sia possibile avviare nuovi modelli di confronto e crescita».

 Claudia Valiani Renzetti Al mister i ragazzi chiedono competenze educative elevatissi­me perché incarna un ideale L’aspetto ludico deve continuare a essere importante nella pratica sportiva

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