L’eredità della Signora dell’arte
A casa della grande critica Lara Vinca Masini, dopo il nuovo appello per riconoscerle un vitalizio «Che disastro Firenze sul contemporaneo, per questo ho lasciato il mio archivio al Pecci. Qui non saprei a chi donarlo»
Accanto al tavolo della cucina dove ci accoglie Lara Vinca Masini c’è una ciotola per la vecchia Guia, un lupo docile a cui offre crocchette, fettine di mela e fette biscottate. La signora dell’arte contemporanea, grande critica, studiosa e organizzatrice di mostre vive in questa casa, dietro al vecchio Comunale, da qualche anno. Da quando l’Ente Cassa di Risparmio le ha preso in affitto un appartamento capace di contenere gli oltre 200 mila volumi del suo archivio il cui punto d’arrivo sarà il Centro Pecci di Prato per cui ha già firmato una donazione. Quella di prima, in via Biagi, era troppo piccola e rischiava di cadere giù per il peso dei libri. E una più grande Lara non poteva permettersela visto che la sua sapienza, straordinaria e densa, non ha mai avuto giusto riconoscimento economico.
Qualche tempo fa la Regione Toscana chiese per lei il riconoscimento dei benefici della legge Bacchelli e cioè il vitalizio per personalità di chiara fama in difficoltà economiche. Riconoscimento inspiegabilmente rigettato a ottobre dello scorso anno dal ministero dei Beni Culturali e per il quale oggi è in fieri un ricorso in favore del quale si sta procedendo a una raccolta firme (tra i promotori l’ex assessore alla cultura Simone Siliani e il collezionista Giuliano Gori, si firma su www.morrocchi.it/2016/11/21/per-laravinca-masini/). Lei sa tutto anche se la sua attenzione più viva — a oltre novanta anni è lucidissima — è per il suo archivio che contiene cataloghi saggi, depliant, storie dell’arte, dagli anni Quaranta a oggi e che sta ordinando con due collaboratrici, Gessica Pifferi e Cecilia Barbieri. Sull’archivio ha scritto recentemente un saggio Laura Lombardi nel vo- lume Artiste della Critica edito da Corraini. Ma andando lì dentro ci si accorge che un saggio non basta e non basterebbe un libro intero. Piano piano il lavoro di archiviazione sta mettendo in evidenza i 20 mila artisti le cui pubblicazioni sono poste in ordine alfabetico, la sezione dedicata ai gioielli, quella focalizzata sull’architettura, quella in cui trovano posto i saggi, quella che contiene i libri firmati da Lara o a cui lei ha contribuito, uno per tutti la Storia dell’Arte del Secondo Novecento di Argan che volle proprio lei accanto per la revisione e stesura di alcune schede. Un pozzo di sapienza. Quando siamo andate a trovarla leggeva altro: «Per ora ho in lettura Descrizioni di descrizioni di Pasolini, un libro straordinario — ci dice — lo legga». E mentre ci parla, nella stanza accanto sta china su un libro, una giovane calabrese. Si chiama Maria Teresa, studia lingue orientali, le fa compagnia e le dà una mano in cambio di un tetto per lei e per la sua canina. Una convivenza dolce che fa immaginare il trapasso di sapere da una generazione a un’altra. Con Lara che alla sera le racconta di quando «con Sottsass e Nanda (Fernanda Pivano) facevamo un terzetto indissolubile».
Dalla sua casa sono passati tutti i grandi: «anche se Firenze non sembra averne memoria anche perché è un disastro sul contemporaneo — dice lei — Per questo ho lasciato i miei libri al Pecci. In questa città non avrei avuto a chi donarli». E dire che lei stata amica di Bruno Munari e di Gina Pane, ha collaborato più volte con la Biennale di Venezia, Paolo Portoghesi, Charles Correa, Peter Noever, Alberto Moretti. E ha scritto tanto: indimenticabile, per gli addetti ai lavori, il suo studio sull’Art Nouveau, quello su Gaudì (fatto solo sui libri «sarei tanto voluta andare a Barcellona — ci dice — ma non avevo mai soldi»), su Braque, su Man Ray, su Van Gogh. Una lista infinita, quella delle sue pubblicazioni, alcune sotto forma di monografie altre come contributi molti dei quali contenuti nei quattro volumi sull’Arte Contemporanea di Giunti. Lara è un’enciclopedia vivente che, si spera non in pochi, a Firenze ricorderanno per la sua storica mostra intitolata Umanesimo e Disumanesimo. Era il 1980 e Franco Camarlinghi, allora assessore alla cultura, le chiese di fare qualcosa per la città. Lara portò in 10 luoghi della città, tra cui il Palagio di Parte Guelfa e piazza Santa Maria Novella, dieci artisti della contemporaneità: «In quell’occasione — ricorda — Fabio Mauri, per esempio, colorò di rosso l’acqua della vasca della Palazzina Reale di Santa Maria Novella costruita per la visita di Hitler in città e sopra vi pose un pennone bianco che dal rosso sangue veniva sporcato». A quella stessa mostre vennero invitati anche Rebecca Horne, e, tra gli italiani, Cucchi e Chiari. Fu un grande appuntamento che ci porta a farle a una domanda sull’oggi fiorentino in relazione al contemporaneo. «Non condivido quello che si fa. Lavorano sul sensazionale. Prendiamo Fabre, un tempo era bravo, ora ha divorato se stesso. Vogliono un consiglio? Portino nelle piazze Bourgeois, Morris, Serra e Kiefer». Quello stesso Kiefer che Lara vorrebbe vedere con altri tre grandi nel momento della fine: «Mi piacerebbe andarmene accanto alla Madonna del Parto di Piero della Francesca, a un Kiefer e a un nero di Burri. In queste tre opere c’è tutto il passaggio della vita».
Qui in città ormai si lavora sul sensazionale, pensi a Fabre, un tempo era bravo, ora ha divorato se stesso Un consiglio? Portino nelle piazze Bourgeois, Morris, Serra e Kiefer