Raccontare Siena: il bianco e il nero di una città bipolare
IL RACCONTO
Non va più di moda qualificare una città con un attributo e ritrarla come fosse una persona. Mi faccio coraggio e affibbio a Siena un aggettivo tratto dal lessico della psichiatria. In questa indecifrabile fase d’attesa essa sembra soffrire d’una sindrome bipolare. La crisi che ha investito il Monte dei Paschi ha generato stati di angosciosa depressione e stimolato euforia, talvolta alimentata da esili segni di resistenza o ripresa.
A camminare per le vie addobbate con parsimoniosa misura per le feste imminenti si avvertono stanchezza e spaesamento, rabbia contenuta e caparbia affermazione di non sopito orgoglio. Capannelli di pensionati della banca stazionano nei pressi della Rocca che fu segno di protettivo dominio e sbottano in improperi e lamentazioni. «Ti pare che si dovesse aspettare la manna dal Qatar?». Il più informato aggiorna i colleghi infuriati scandendo: «Il principe Hamad bin Khalifa alThani, appena saputo l’esito del referendum ha detto “non ci vedo chiaro” e ha rinviato ogni decisione». Un altro lo coregge: «Non è detta l’ultima parola». La speranza non è abbandonata. L’attesa snervante si prolunga oltre ogni limite. Sono stati una decina d’anni di alti e bassi. E lo stato d’animo di parecchi ha seguito le curve imprevedibili e illogiche del titolo in Borsa.
Piero Bianciardi, un carismatico maestro di yoga, attivo in uno, «Artemovimento», dei tanti centri che curano corpo e mente, espone una diagnosi suggestiva, ritagliata addosso ai malanni di colui cui i senesi da secoli si sono rivolti come al babbo Monte: «Quando in una società patriarcale viene meno il capo che teneva le fila e dava sicurezza ognuno ripiega su se stesso, ognuno cerca di arrangiarsi, fuga e disimpegno si alternano a individualismi esasperati, ritessere un senso della comunità è arduo: una solidarietà vera si fa rara». È comprensibile che il rancore per gli errori del passato prevalga su un confronto sincero che tenti di intravedere un possibile riscatto. L’arcivescovo Antonio Buoncristiani nella tradizionale omelia del primo dicembre, per Sant’Ansano martire, protettore e primo predicatore del messaggio cristiano da queste parti, ha tuonato contro l’imperante litigiosità: «Dopo anni di sofferenza economica-sociale, di contrasti politici portatori di apprensione, servirebbe ritrovare il dialogo».
C’è da augurarsi che l’appello non cada nel vuoto ma il ceto politico non pare proprio all’altezza della situazione. Si lancia con eccesso di ambizione un «Progetto Siena» e, a scorrere l’elenco delle associazioni che lo promuovono, non si sa se compiacersi per le tante sigle o allarmarsi per una disarticolazione patologica: alla presentazione oltre ai gruppi politici più noti hanno preso parte Movimento civico senese, Cittadini per Siena, Associazione Noi, Siena doc, Confronti, Impegno per Siena etc. E le priorità individuate, dopo un sondaggio assai ristretto, sono state indicate nella manutenzione della città, nell’assistenza sanitaria, nel sostegno delle famiglie più povere e nel turismo. Obiettivi sacrosanti ma più consoni alla riparazione dei guasti che al rilancio su nuove basi della città. Più che difendersi deve ora attaccare, precisare linee di crescita realistiche e sensate, ben sapendo che il Monte non sarà più l’asse di una volta. Ed ecco che la bipolarità si manifesta in buone occasioni.
L’Università può finalmente esporre per il 2017 un bilancio che sfodera l’utile. È una svolta. Angelo Riccaboni e il rettore Francesco Frati puntano convinti sul Santa Chiara Lab, dove decolla il programma Euro-Mediterraneo di ricerca e innovazione «Prima», che prevede la definizione da parte dei Paesi Euro-Mediterranei di soluzioni innovative in materia di agricoltura, industria alimentare e uso dell’acqua. Non è il solo richiamo ad un forte rapporto con l’ambito dell’agro-alimentare, settore destinato a vertiginosa espansione. La forza di Siena — e della sua banca — è stata alimentata dalla campagna e ricostruire una legame costante e operativo con un territorio che non è solo bellezza paesistica è di certo una delle principale carte da giocare. I discorsi attorno alla Grande Siena sono rimasti fumosi e sloganistici. Invece emerge sempre più frequentemente che se si vuol riprendere fiato è indispensabile varcare il perimetro delle mura e perseguire una dimensione internazionale a portata di mano. «I senesi non immaginano — assicura Riccaboni — quanta attrazione esercita Siena nel mondo e quanta seduzione promani dalla sua immagine».
Ripristinare un’efficiente operatività del Monte e del sistema bancario territoriale che l’attornia, ora effervescente per concorrenza, è fondamentale, ma le priorità che balzano agli occhi e da declinare ai livelli più alti possibili sono, oltre l’agroalimentare, la ricerca scientifica nelle biotecnologie, il patrimonio storico-artistico, la formazione multiculturale e plurilinguistica. Di startup da tener d’occhio non ci sono solo quelle nate per impulso dell’Università. La «TreD» di Francesco Vannini produce tramite stampante in 3D oggetti che accoppiano innovazione ed eleganza. E la lista delle iniziative che hanno preso corpo aggiornando la radicata vocazione di un artigianato creativo sarebbe lunga. A due passi da Monteriggioni, la «Co.ri.ma» guidata da Dario Anatrini può essere soddisfatta: «Esportiamo l’85% delle nostre attrezzature, in prevalenza per la farmaceutica, e sono in sviluppo i test clinici per i vaccini». Andrea Paolini, direttore generale di Toscana Life Sciences, anch’essa legata al mondo dominato da Gsk (Glaxo Smith Kline), cerca di mettere alle spalle un periodo tutt’altro che quieto.
Dove si marca il passo è proprio nel campo che sembrava più pronto a spiccare il salto: il futuro del Santa Maria della Scala, nonostante il dinamismo di Daniele Pitteri, incaricato di gestirne il programma per i prossimi due anni, sembra destinato a svuotarsi della sostanza che gli avrebbe dato peso e consistenza. Da parte del Polo museale toscano non si è propensi al trasferimento di quanto oggi forma la Pinacoteca nazionale. «Conviene battersi con energia per superare una diffidenza che farebbe crollare il progetto per come è sempre stato pensato»: lo studente che riprende un tema tenacemente riproposto si fa interprete di quell’energia sopita, ma non spenta che caratterizza una schizofrenica bipolarità. E pure in questo decisivo settore è l’hinterland a immettere impulsi non trascurabili con la Fondazione Musei Senesi, ricca di 45 sedi, forse troppe. «In sostanza — dice Elisa Bruttini, responsabile scientifico — si muove dalla nozione di “museo diffuso” e dalla missione di mettere a sistema le realtà culturali di un vastissimo territorio. È innegabile che le Terre di Siena abbiano un potenziale incredibile». Il Comune non può rinunciare a un ruolo esigente e fermo, esternalizzando disinvoltamente scelte e ideazione.
La formazione ha nell’Università per stranieri la realtà più percepibile. Pietro Cataldi, da poco rettore, snocciola cifre cospicue: «Settemila giovani, 500 cinesi ogni anno e il resto da Turchia e Paesi europei. Fra poco acquisteremo una sede in città e non sarà solo un atto simbolico».
Neppure le guardinghe Contrade sono inerti. Paolo Neri, che guida entusiasta l’Arte dei Vasai, una onlus nata in seno al Nicchio per organizzare esposizioni e laboratori nella ceramica, ed è solo il più consolidato tra gli esperimenti avviati è severo: «Sarebbe l’ora — ammonisce — che le Contrade diventassero luoghi di produzione e di apprendimento dei vecchi mestieri a rischio: Siena ora si sente declassata».
Ce la farà Siena, a risalire la china reperendo le risorse necessarie? Ad arginare il senso di segnato abbandono che allontana soprattutto i giovani? Una borghesia imprenditoriale disposta a scommettere non l’ha mai avuta. Dante Vannini, presidente del Consorzio Energia Toscana Sud, critica una Confindustria sbilanciata, dopo la fusione, verso Arezzo e Grosseto. I commercianti non hanno fatto molto per aggiornare un offerta che si squaderna nelle vetrine ovvia e talvolta sciatta. Transitando pel Corso la bipolarità pende sul negativo. Nemmeno l’ombra della Siena altera e cordiale d’una volta. Molti «eventi» in calendario hanno un’aria goffamente paesana. Comunque si concluda il romanzaccio del Monte, non mancano appigli che hanno sfidato le tempeste: del resto attestati dalle classifiche, eseguite, si badi, su dati provinciali. Siena non sarà più nella top ten, ma si mantiene appena al bordo, nell’undicesima casella della citatissima graduatoria del Sole 24Ore. «Si ha l’impressione — mi confidò quando soggiornava a Siena come docente Franco Fortini — che se si dovesse andare in una fenomenologia del negativo qui troveremmo lo scoramento piuttosto che la disperazione». Quel cuore antico può forse tornare a battere con una fierezza ferita, non dissolta o annientata.