UNA CLASSE DIRIGENTE IN PIENA CRISI DI NERVI
Non deve essere facile la leadership in quest’epoca di distorsioni mediatiche. Adesso va di moda occuparsi di fake news, o balle: tutte quelle presunte notizie create ad arte da siti che vogliono lucrare sui clic. Ma ci si dimentica tutto il resto. Come se le sciocchezze che i politici affidano ai retroscena giornalistici fossero molto diverse da quelle confezionate ad arte su Internet. Le balle istituzionali non differiscono dalle altre, se non che le prime trovano una loro legittimazione e autorevolezza per il fatto che a pronunciarle siano presidenti del Consiglio, parlamentari, ministri, insomma politici. Si crea un meccanismo di contaminazione reciproco, fra media e politica. La costruzione delle leadership secondo il rituale mediatico comporta una finzione, ed è quello che s’è visto recentemente negli Stati Uniti, come dice Lucio Caracciolo sull’ultimo numero di Limes. «I mezzi di comunicazione mainstream, a partire dal celeberrimo New York Times ridotto a Pravda clintoniana, sono i grandi sconfitti delle elezioni presidenziali. Aliena dalla pancia e dal cuore del Paese, la grande stampa ha allestito un teatro comunicativo dedito a confermare l’élite cosmopolita della nazione nelle sue liberali certezze. Producendo secondo Graham Fuller, già analista della Cia, «un imponente fallimento dell’intelligence americana», dovuto a una «caratteristica profondamente radicata» nella comunità a stelle e strisce: «L’incapacità di leggere la realtà».
Ma in politica si assiste sempre al momento del disvelamento. Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita e alla prematura scomparsa, come stelle cadenti, di classi dirigenti cresciute in fretta e altrettanto in fretta crollate. Classi dirigenti nate con l’improvvisazione, come dimostra il caso romano del governo a Cinque Stelle. Il Partito democratico non sta molto meglio, tra il «non detto» del neo ministro Valeria Fedeli sulla laurea che non c’è, le lacrime di Debora Serracchiani nel Consiglio regionale del Friuli per gli «attacchi personali» (non si è capito quali, però) e l’insistenza con cui Maria Elena Boschi è riuscita a restare al governo dopo la sconfitta referendaria. Se i giornali sbagliano lettura della società, creando finzioni politiche a uso di un elettorato che però non sempre consuma e abbocca, la politica ne è degna rappresentante. Molti degli esponenti di punta di questa stagione politica hanno più esperienza di governo che di militanza. Si pensi a Virginia Raggi o alla stessa Boschi. La mitologia della società civile al governo ha prodotto una classe dirigente fragile e con un consenso politico volatile. Il sindaco di Milano Beppe Sala, manager prestato alla politica, si è incomprensibilmente autosospeso dopo aver appreso di essere stato indagato. C’è chi la chiama provocazione, ma in quest’epoca di pazzi ci mancano solo i gesti situazionisti. In politica i vuoti si riempiono alla svelta. La magistratura, come già accaduto negli anni Novanta, è pronta a colmare gli spazi.
Negli ultimi anni sono nate e poi prematuramente scomparse classi dirigenti improvvisate Il M5S a Roma è in crisi, ma il Pd non è messo meglio, tra il non detto della Fedeli e le lacrime della Serracchiani
Fino alle amministrative — prima cioè della sonora sconfitta — il Pd regionale aveva un piano: sostituire alcuni sindaci al primo mandato, in vista delle elezioni amministrative che ci saranno nel 2017. Sindaci che, secondo il partito regionale, non funzionavano. La discussione era stata congelata fino al
Il risveglio dei sindaci
referendum, poi si è sbloccata proprio in queste ore. Il Pd avrebbe voluto cambiare i due sindaci uscenti di Lucca e Pistoia, Alessandro Tambellini e Samuele Bertinelli (due non renziani), che però hanno annunciato la loro ricandidatura. «In attesa di poter verificare — in una discussione che immagino non mancherà — in quali condizioni politiche il partito affronterà le prossime scadenze elettorali, sono a comunicarvi la mia disponibilità a ricandidarmi», scrive Bertinelli nella sua lettera inviata al partito.
Tambellini, che ormai ha ritrovato vigore, dice anche che non vuol partecipare a eventuali primarie, anche se trova già l’opposizione dei renziani. «Sono molto contento che il sindaco Tambellini si sia finalmente deciso a ricandidarsi nel Pd», dice il senatore Andrea Marcucci. «Si apre ora il percorso verso le primarie, così come previsto dal nostro statuto». Dobbiamo preparare i popcorn?