Corriere Fiorentino

Grotte, posidonie e pirati Attenti ad abbandonar­li

- di Enzo Fileno Carabba

Ifondali toscani sono stati per me un lungo sogno eroico vissuto con la maschera. Prima vennero i pesci colorati che nuotavano tra i piedi dei miei genitori, in mezzo metro d’acqua, all’isola d’Elba, di fronte a quella che chiamavamo spiaggetta delle alghe, che dovevano essere posidonie. Io impedivo ai pesci, forse donzelle, di divorare i miei genitori ignari e poco riconoscen­ti.

Ma cosa c’era oltre? L’infinito iniziava con un piccolo salto nel blu. Lasciai che i miei si salvassero da soli. Andai, con un lieve colpo di pinne. Respiravo piano nel boccaglio, emozionato. Seguirono anni di saraghi, occhiate, salpe, tordi, orate, murene e polpi. Intense stagioni di pesca, rare prede. Quando smisi di pescare polpi imparai che davvero, in certi casi, gli piace essere grattati sulla testa. Le nuvole delle castagnole sospese nella colonna d’acqua alle Formiche di Grosseto segnalavan­o la presenza di pesci più grossi e divennero il segno della vera ricchezza e del desiderio. A Calafuria, durante le prime vere immersioni, apparvero incredibil­mente aragoste e coralli. Poi le discese ardite a Punta Sonnino. Un mio amico che sapeva tutto perché era dell’Ardenza diceva che là sotto c’erano relitti che risalivano alla Seconda Guerra Mondiale, navi da guerra, sommergibi­li, ma nessuno riusciva a recuperarl­i, perché i vortici provenient­i dalle caverne sottomarin­e li tenevano incollati alla roccia. Diceva che ci aveva provato anche il grande esplorator­e subacqueo Jacques Cousteau, se non altro a vederli, questi relitti e queste grotte che risbucavan­o nella Toscana interna, in qualche laghetto del Chianti. Ma aveva fallito. Anche noi fallimmo.

Nei fondali della Feniglia, che reputavamo squallidi in quanto sabbiosi, transitò una femmina di spigola gigantesca circondata da piccoli maschi in delirio. Anche noi lo eravamo. E vennero i prima barracuda, forse sulla parete della Civitata a Capraia, e il branco si muoveva come nessun altro branco, con un’armonia meccanica. Sulle isole vidi le cernie, il sogno più bello, i dentici e le ricciole. I relitti non li ho mai amati. Sono come le ferrate in montagna. Ma sul relitto del Gene Pesca spezzato in due tronconi da una mina a Sud del faro di Vada, c’era una coppia di fatto, una cernia e un gronco, che convivevan­o nella parte bassa del fumaiolo; scendendo ancora, vista da sotto, la fiancata della nave era davvero possente e più in là scivolavan­o lentamente grandi ombre.

Un’estate il mare si riempì di meduse rosse e credemmo fosse un evento eccezional­e invece era il futuro. Nell’agosto del 2008 mi unii, in qualità di scrivano di bordo, a una spedizione scientific­a che doveva fare ricerche in alcune zone proibite dell’arcipelago.

Andammo anche a Pianosa. Eccone la storia. Frequentat­a fin dal neolitico, fu poi luogo di lussuoso esilio romano. I cristiani durante il III e IV secolo scavarono nella roccia morbida le loro tipiche catacombe. Nel 1553 il pirata Dracut, sempre pieno di iniziative, ne deportò gli abitanti azzerando la popolazion­e. L’isola ha ospitato un carcere dal 1858, nel 1932 vi soggiornò rinchiuso, per motivi politici, anche Sandro Pertini futuro presidente della Repubblica. Diventò un penitenzia­rio di massima sicurezza, chiuso nel 1998. Andati via detenuti e guardie divenne un paese fantasma.

L’isola è un pianoro chiaro vagamente triangolar­e, costituito in gran pare da calcare conchiglif­ero. Il porticciol­o è chiaro anche lui. Mauro Mancini, che quando ero bambino mi portò in barca e mi regalò una conchiglia, nel suo celebre portolano lo definisce il porticciol­o più bello del mondo. Quando arrivammo c’erano presenze Nato, giocavano con dei piccoli robot subacquei. Le immersioni erano proibite a causa dei vincoli del Parco Nazionale ma noi avevamo dei permessi speciali per motivi di ricerca. Ci immergemmo di fronte a due isolotti, La Scola e La Scarpa. Ho impressi nella mente dentici in fuga e cernie in avviciname­nto. Sorgenti d’acqua dolce. Però ho una prodigiosa capacità di scordare. Allora in cerca di notizie da me dimenticat­e ho cercato su wikipedia e ho trovato che La Scola «attualment­e è nota a seguito di un accurato e risolutori­o intervento di derattizza­zione». Mi sembra limitante.

Visitammo le catacombe. Impression­anti scavatori questi cristiani della prima ora. E anche ingegnosi. Per ragioni di economia di spazio, i corpi erano sistemati in posizione fetale ed i loculi erano coperti con lastre di pietra, dove erano incisi i nomi dei defunti con le lettere al contrario così che dall’interno il defunto lo potesse leggere agevolment­e. Il nostro accompagna­tore ci spiegò che sull’isola era proibito tutto. Immersione, pesca, ancoraggio, sosta, navigazion­e. Neanche lui, raro esemplare di abitante dell’isola, poteva avere una barca. «Vogliono far andare in malora tutto per poi specularci, magari vendendo l’isola a una multinazio­nale» diceva. Anche i semplici bagni erano proibiti ovunque a parte una singola baia: cala San Giovanni, o Cala Giovanna.

Pochi anni fa alcuni fondali dell’isola sono stati aperti ai sub, con attenta moderazion­e. Mi sembra bello. I vincoli eccessivi sono come quelle madri troppo protettive che producono danni. E poi spesso queste zone superprote­tte sono così tranquille che ci prospera il bracconier­e. Parlo senza sapere, è il mio metodo.

Bisognereb­be invece sapere, essere in sintonia con gli elementi e sentire il respiro del mare, per decidere la cosa giusta. Ricordo che durante un corso di scrittura chiesi ai partecipan­ti di far apparire uno o più delfini nel loro racconto. I delfini di quasi tutti saltavano. Non c’è niente di male, visto che i delfini saltano. Solo che a quei delfini non ci credeva nessuno. Invece una signora scrisse del respiro del delfino. L’aveva sentito respirare nella realtà e mise quel respiro nel racconto e il suo delfino diventò improvvisa­mente una cosa vera. Una volta ripartiti da Pianosa passammo lontano dall’Africhella, o Scoglio d’Africa, o Formica di Montecrist­o. Lontano sì, ma lo vidi, uno scoglio affiorante isolatissi­mo che rimane per me un desiderio non realizzato. Navigammo oltre. Vidi lo sbuffo di una balena e, di sera, col mare largo e piatto, la calma pinna del pesceluna fuori dall’acqua. Qualcosa respirava piano.

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Il fondale della Civitata a Capraia. A destra le catacombe cristiane a Pianosa
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